TARTINI (Giuseppe) nacque a Pirano nell'Istria di assai civile famiglia nel 1692. Entrò dapprima nell'Oratorio di San Filippo Neri; ma distinguendosi ben presto per le sue brillanti disposizioni, fu mandato a Capo d'Istria, per terminare i suoi studj nel collegio dei Padri delle Scuole-Pie: quivi egli ebbe le prime lezioni di musica e di violino. Nel 1710 i suoi parenti lo mandarono all'università di Padova per istudiarvi la giurisprudenza, e formarsi nella profession di avvocato. Ma invaghitosi di una giovinetta, ch'egli sposò di nascosto, abbandonò lo studio del foro, e rovinò la sua fortuna. Questo matrimonio gli trasse addosso l'indegnazione de' suoi parenti, che lo abbandonarono affatto. Tartini tanto più trovossi smarrito, che essendo la sua moglie della famiglia del vescovo di Padova il card. Giorgio Cornaro, aveva altresì a temere il processo, che questi doveva intentargli. Non restogli altro partito che di lasciare la sua donna in Padova, e di fuggirsene in Roma travestito da pellegrino. Non trovando in niun luogo sicurezza, andò vagando di paese in paese; finalmente il gran convento dei francescani in Assisi, il di cui guardiano era suo parente, gli offrì un asilo sicuro contro la persecuzione del cardinale. Restò egli quivi due anni, ed applicossi allo studio del violino, che aveva quasi totalmente negletto in Padova. Le lezioni del P. Boemo, celebre organista di quel convento, terminarono d'iniziarlo nell'arte della musica. Un altro vantaggio, ch'egli trasse da quel solitario soggiorno, fu una totale mutazione del suo carattere. Di violento e collerico ch'egli era, divenne moderato, e mercè questo genere di vita laborioso e tranquillo perdette per sempre i difetti, che cagionato avevano la sua disavventura. Il suo ritiro era lungamente rimasto ignoto; un non previsto accidente il fè discoprire. Sonando di violino nel coro della chiesa, un colpo di vento portò via la cortina, che ne impediva la vista agli astanti, ed ei fu riconosciuto da un abitante di Padova. Tartini si ebbe per perduto: ma qual fu la sua sorpresa, allorchè quegli gli diè nuova, che il cardinale lo aveva perdonato, e cercava di lui per condurlo in braccia alla sua sposa! Di ritorno a Padova, egli fu chiamato in Venezia per esser membro di un'accademia, che doveva formarsi sotto gli auspicj del re di Polonia. Egli vi si rese con la sua sposa: ebbe colà occasione di sentire il cel. violinista Veracini di Firenze, e restò talmente sorpreso della sua maniera di sonare ardita e nuova, che amò meglio lasciar l'indomani Venezia, anzicchè entrar con lui in concorrenza. Mandò sua moglie a Pirano in casa di suo fratello, e ritirossi ad Ancona per vie meglio attendere allo studio del suo stromento. Fu da quest'epoca (nel 1714), ch'egli da se creossi un nuovo modo di sonar di violino: fu anche allora che scoprì il fenomeno del terzo suono, ossia della risonanza della terza nota dell'accordo, allorchè si suonano le due note di sopra. Nel 1721, fu egli posto alla testa dell'orchestra di S. Antonio di Padova: questa cappella, una delle migliori d'Italia, aveva quaranta musici, dei quali sedici eran cantanti. Nel 1723, fu chiamato a Praga per l'incoronazione dell'imperatore Carlo IV, e vi restò per tre anni insieme col suo amico Antonio Vandini, suonatore di violoncello al servigio del conte Kinsky. Quivi fu, che il sentì Quanz che così ne parla: Tartini è un violinista di primo ordine; produce de' suoni bellissimi. Le sue dita, il suo arco del pari gli ubbidiscono bene: eseguisce senza stento le più difficili cose, fa a perfezione con tutte le dita dei trilli, e fin anco dei doppj trilli, e suona molto negli acuti. Ma la sua esecuzione non tocca affatto; non è nobile il suo gusto; ed assai volte ancora è tutto opposto alla buona maniera. Tartini senza dubbio seppe acquistar poi dal canto dell'espressione, e del gusto quel, che a giudizio di Quanz, mancavagli allora; poichè ogni volta che sentiva sonar con destrezza, ma senz'anima, quest'è bello! diceva, quest'è difficile! ma non parla al cuore. Da Praga tornò coll'amico Vandini a Padova, e da quel tempo in poi nulla potè risolverlo ad accettare un servigio straniero, malgrado le più vive, e le più vantaggiose sollecitazioni. Nel 1728 fondò in Padova, una scuola di musica, e pochi maestri hanno formato ormai così bravi scolari. Gli Italiani chiaman Tartini il maestro delle nazioni. La di lui scuola ha provveduto di gran musici la Francia, l'Inghilterra, l'Alemagna, e l'Italia. Pagin intraprese espressamente il viaggio di Padova per formarsi sotto la direzione di Tartini. Nardini, Alberghi, Bini, Ferrari, Carminati, mad. Sirmen, Lahoussaye e Capuzzi, nomi illustri, e tutti suoi allievi. Questo gran maestro si rese benemerito dell'arte per tutti quei mezzi che contribuiscono all'avanzamento di essa. Egli era per natura uom riflessivo, perspicace, voglioso dell'ottimo, paziente de' penosi indugj, e non isbigottito delle difficoltà, che convien vincere per conseguirlo. Sì nel comporre, che nell'eseguire egli è stato vero inventore; ed ecco fin dove il condussero l'osservazione e la sperienza. Osservò egli in primo luogo, che il violino è per natura uno stromento acuto e stridente; che chi lo arma di cordicelle sottili non ne può trar altro, che un suono fievole e smilzo. Si avvisò quindi di armarlo di corde grosse un pò più dell'usato. Con questa leggiera mutazione sentì addolcirsi la crudezza natía, ed uscirne più grato e più morbido il suono. Osservò poscia, che l'arco usato dalla scuola Corelliana è troppo corto; che però uno appena in venti di quella scuola riesce a cavar una voce piacevole, bella, e pastosa. Laonde ei si pose ad usar arco più steso, non trovandovi niun de' difetti, e tutt'i vantaggi dell'arco breve. Da questi saggi cambiamenti passò egli tosto ad un doppio studio, l'uno del modo d'adoprar l'arco, faticando per impadronirsene sì nel guidarlo allo in su, che allo in giù, sì nel trar senza stento e secondo il bisogno or lunghe e melodiose, or brevi e snelle le arcate. Con siffatte minute attenzioni, delle quali ogni egregio suonatore, e niun mediocre o cattivo ravviserà l'importanza, pervenne il Tartini a singolar eccellenza nel suono. Vediamo or pure, quanto egli nel comporre siasi dipartito altresì dall'uso comune: nel che riuscì meglio a riprendere e schivare gli altrui difetti, che a vedere e correggere i suoi. Quando Tartini cominciò ad apparire, dominava ancora tra gli scrittori d'Italia quel barbaro gusto delle fughe, de' canoni, e di tutti in somma i più avviluppati intrecci d'un ispido contrappunto. Questa increscevol pompa di armonica perizia, questa gotica usanza d'indovinelli e di logogrifi musicali: questa musica gradita agli occhi, e crudel per gli orecchi, piena d'armonia e di romore, e vuota di gusto e di melodia, fatta secondo le regole, seppure le regole hanno l'atrocità di permettere di far cose dispiacevoli, fredde, imbrogliate, senz'espressione, senza canto, senza leggiadría, qual altro pregio veracemente aver può, che quel di abbagliar gli eruditi, e di uccidere per la fatica il compositore, e per la noja i dormigliosi ascoltanti? Tartini sedotto sul principio dall'amor del difficile, si logorò anch'egli per qualche tempo, e stese alcune sonate in questo gergo enigmatico e sibillino. Ma di poi avvedutosi, che tal profusione di scienza, ben raro è il caso, che riesca opportuna, e ancor più raro che ella rechi diletto, se prima, come fa il pittore, aveva cercato il maraviglioso aggiugnendo; si volse poscia a cercare il bello, come lo scultore, togliendo. E in fatti quanto egli ha scritto dopo tal suo ravvedimento, tutto spira la nobile semplicità, linda e schietta è pur sempre l'armonia: intelligibile e andante il pensiero; sgombra di rancidumi la cantilena. (V. Cont. S. Raffael. lett. 2). Egli ebbe inoltre due pregi insigni, dov'egli non soffre eguali. Il primo d'aver un metodo esatto, e limpidissimo d'insegnar l'arte. I suoi precetti eran sì chiari, e sì precisi, che lo scolare, seppur non era un gonzo madornale, preveniva il maestro, e godea di suggerirgliene gli esempli. L'altro suo pregio raro ben anco e prestante si era l'essere scevro affatto d'invidia, di gir sommamente guardingo nel dar giudizio dell'altrui valore, di largheggiar nelle lodi senz'adulazione, e di accennare i difetti senza livore, da solo a solo, non pel piacer inumano di riprendere, ma pel vero vantaggio del ripreso, cui moderatamente avvertiva, dicendogli i motivi della sua disapprovazione, udendone chetamente le discolpe, cedendo se si trovava convinto, soffrendo in pace, che non gli si desse ragione da quegli ostinati, che non credono mai d'aver torto. Tal era l'indole, e il merito di questo eminente caposcuola nell'arte del suono. Ci resta ora a considerarlo come autore, ed inventore di un nuovo sistema di teoria musicale, sotto il quale riflesso, se censure piuttosto che lodi verranno da me riferite, il farò protestandomi di non voler in nulla derogare al rispetto, che per altri titoli a sì grand'uomo è dovuto. All'epoca in cui si credeva non poter dare alla musica un fondamento nella natura, se non con darlene uno nella fisica, Tartini ebbe la debolezza, come in Francia Rameau, di cedere a questa bizzarría. Volle egli creare un sistema, prendendo per la sua base il fenomeno del terzo suono, sistema, che non è stato possibile a capirsi da niuno per le folte profonde tenebre che lo involvono, e che l'autore senza dubbio non ha saputo egli stesso comprendere. A tale oggetto diè egli fuori il suo Trattato di musica secondo la vera scienza dell'armonia, Padova 1754, in 4º. Tartini sin dal 1714, aveva osservato la coesistenza di un suono grave uguale all'unità, e se ne serviva come di base alla sua scuola: ma non rese pubblica questa sua scoverta, che nel 1754 in quel suo trattato; onde è che se gli ha voluto torre l'onor dell'invenzione, con attribuirla alcuni a M. Sorge, altri a M. Romieu. “Ma il suo libro, dice M. d'Alembert, è scritto in una maniera così oscura, che ci è impossibile il recarne alcun giudizio; e ben si sa averne in tal guisa altresì giudicato Letterati di gran nome.” Tali furono il Rousseau, che dandone un estratto nel suo Dizionario sembra tuttavia preferir le idee di Tartini a quelle di Rameau; tali il Scheibe, il Forkel tra i tedeschi, l'Eximeno, il Bettinelli e più altri. M. Serre di Ginevra nel 2º cap. delle sue Osservazioni su i principj dell'armonia fece delle oggezioni al sistema del Tartini, a cui oppose egli: Risposta di G. Tartini alla critica del di lui trattato di musica di M. Serre, Venezia 1767, in 8º. E cercando di evitare i difetti oppostigli da M. Serre, diè al pubblico: Dissertazione de' principj dell'armonia musicale, contenuta nel diatonico genere, Padova 1767, in 4º. M. Mercadier nel Discorso preliminare al suo Nouveau système de musique fa la confutazione dell'algebra posta in uso dal Tartini nel suo sistema: finalmente il dottissimo Eximeno impiega un capitolo della sua opera per confutare i raziocinj di fisica e di metafisica, i calcoli e le singolari dimostrazioni geometriche della sua teoria. “Tartini non avendo avuto, egli dice, che un lume superficiale di matematica e di filosofia, si abusò dei vocaboli di queste scienze per iscrivere un Trattato dell'armonia, che niuno ha potuto finora intendere, e credo che neppur l'A. intendesse se stesso. Se altri più avveduti filosofi hanno vaneggiato, ognun può figurarsi, qual caos d'illusioni si formi il Sig. Tartini. Comincia a vedersi qualche lume allorchè fa egli utilissime riflessioni circa l'accompagnamento, ed altre materie di pratica, dalle quali si scorge, che il Tartini avrebbe potuto illustrar la teorica, come illustrò la pratica, se la matematica e la fisica non avessero sconcertata la sua fantasia.” (l. 1 c. 4). L'illusione del suo spirito giunse al segno di credere che avesse nel suo sistema la prova dell'uno e trino, com'egli stesso lo affermò all'ab. Bettinelli (V. Risorgiment. c. 4). Egli conservò sino alla morte queste idee metafisico-teologiche, e lasciò morendo al P. Colombo la cura di pubblicare un suo Trattato sulla teoria del suono, ove essendosi trovate siffatte chimere, fu stimato miglior consiglio il non darlo a luce. Maggior profitto può trarsi dagli altri libri, che ci restan di lui, in riguardo alla pratica del suono. Nel t. V dell'Europa letteraria 1770, è stata inserita una sua Lettera alla Sig. Maddalena Lombardini (mad. Sirmen), inserviente ad una importante lezione per i suonatori di violino. M. Fayolle ne ha dato l'originale in francese nel 1810. In fronte alle sue nove opere si trova impressa altresì l'arte dell'arco, di cui ne ha data una nuova edizione M. Cartier nel 1812. L'ab. Fanzago parla di un manoscritto che ha per titolo: Lezioni sopra i varj generi di appoggiature, di trilli, tremoli, e mordenti ec. Mr Denis ne ha pubblicata una traduzione in francese. Per la musica vocale non conosciamo altro di Tartini, che il Miserere eseguito il mercordì santo del 1768 nella cappella Sistina in Roma dinanzi il papa Clemente XIII, che il barone Ag. Forno palermitano, il quale era presente, dice nel suo elogio di Tartini, che questa composizione merita il primo luogo tra tutte quelle dell'autore. Tartini morì in Padova tra le braccia del suo favorito allievo Nardini, a dì 16 Febbraio 1770. Il carattere morale di questo grand'uomo merita somma lode. Egli usò sempre la moderazione di Socrate verso la moglie, che era a suo riguardo una vera Santippe, riottosa e caparbia. Sosteneva molte indigenti famiglie, e molti orfani a sue spese: dava anche delle lezioni gratuite a quegli, che volevano imparar la musica, e non avevano i mezzi onde pagare i maestri. Il posto ch'egli occupò per trent'anni non gli valeva che 400 ducati, e non era obbligato a sonare che nelle grandi festività. Non lasciava tuttavia passar settimana in cui non sonasse più volte. Giulio Meneghini suo succesore dispose in suo onore la funebre pompa che celebrossi nella chiesa de' Serviti. L'ab. Fanzago profferì il suo elogio, e la cappella di S. Antonio eseguì un Requiem composto dal P. Vallotti. Il conte Algarotti attesta, che il Tartini prima di comporre era uso leggere un qualche sonetto del Petrarca, cui somigliava moltissimo nella delicatezza del sentimento, affinchè avesse un oggetto determinato a dipignere; e non perdesse mai di vista il motivo, o soggetto. Così in fatti nelle sue sonate la più gran varietà vien sempre sposata alla più perfetta unità.

Giuseppe Bertini
Dizionario storico-critico degli scrittori di musica e de’ più celebri artisti di tutte le nazioni si’ antiche che moderne
Palermo, dalla Tipografia Reale di Guerra, 1814