Carlo Maria Badini

Carlo Maria Badini (Bologna, 2.VI.1925 - ivi, 19.IV.2007).
Detto fatto
Diceva di essere nato il giorno della Festa della Repubblica, il 2 giugno; diceva, vantava e scherzava, ché nel 1925 la repubblica italiana chissà dov’era. Ma l’anacronistica coincidenza doveva divertirlo: nella sua vita, nella sua attività, nel suo impegno diuturno Carlo Maria Badini ha tanto lavorato e lottato che al divertimento deve aver lasciato ben poco spazio. Bolognese, come insisteva, del popolare quartiere detto Cirenaica, e scomparso a Bologna il 19 aprile del 2007, 57 anni or sono, nell’estate del 1964, Badini assunse la sovrintendenza del Teatro Comunale.
Neanche quarantenne, di “titoli” ne aveva parecchi. Più del diploma magistrale, più della frequenza alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell'Università di Venezia (tosto interrotta), più dell’ideologia socialista, più della passione sindacale, certo sulla nomina aveva potuto la carica di assessore alla pubblica istruzione e alla cultura (nonché sport e turismo) sostenuta nella giunta provinciale per 13 anni. Sostenuta, sì, a occhi aperti e mani tese. Certe scuole di competenza provinciale (i licei scientifici e gli istituti tecnici) facevano doppi e anche terzi turni: si dovettero acquisire nuovi spazi, piani superiori di edifici, succursali vicine e lontane. Le biblioteche? Gloriosissime e pochissime: a seminarne di nuove sul territorio urbano ed extraurbano provvide un apposito Consorzio di pubblica lettura fra provincia e comuni. Teatri? La provincia ne possedeva uno, era la Soffitta ed era bello chiuso da tempo: non bastò ribattezzarlo come la Ribalta, fu necessario cercare, chiamare, evocare, pregare attori e compagnie. Negli anni '60 si faceva la fila, sotto quel portico alto e lungo di via D'Azeglio, per andare a vedere cosa stesse combinando la migliore drammaturgia italiana e straniera. Bastò. Il passo dal teatro della Provincia al Teatro della Comune (così in origine) ovvero Comunale fu lesto e logico, e dopo aver rimboccato tante maniche per Badini poteva anche sembrare l’ora di sedere sugli allori dell’antico Ente Autonomo. Non era nel suo temperamento, però, e il suo sguardo chiaro, razionale, indagatore vide subito che se la poltrona su cui sedere c’era, gli allori da esaltare erano frusterelli, così sbiaditi da non sembrare più allori. L’orchestra, recente, era stabile per forza, nel vero senso della parola e cioè costituita per accanita volontà dei suoi componenti. Se il coro era amatoriale, fatto di gente più dotata di simpatia che di competenza musicale, il corpo di ballo era proprio inesistente. E la stagione era una vera stagione, una manciata di mesi d’apertura contro la chiusura degli altri. Dunque bisognava aggiornare, rifondare, ideare; e intanto si poteva sparpagliare e allacciare: le opere e i balletti stessero pure dentro al Bibiena, ma i concerti e i concertini, sinfonici o cameristici che fossero, avrebbero figurato bene anche altrove, sotto le volte delle chiese o nelle sale di quartiere, anche fuori Bologna, nei comuni confinanti; e con le province confinanti, quelle affiliate all’ATER, si scambiassero progetti e allestimenti, in buona armonia ed economia. Da parte sua la stagione diventasse una quattrostagioni, vivaldiana o meno, pullulante di cento, duecento, trecento serate l’anno. L’estate: ecco le “Feste musicali”, un tripudio di musiche antiche, singolari, inedite. A suonare: ecco i novissimi “Filarmonici del Comunale”, specialisti dello strumentalismo barocco specialmente veneziano. Fuori dal classico: ecco il Festival del jazz, bravissimo a farsi visitare e complimentare da appassionati e critici d’ogni dove. Parole d’ordine: se piazza "Verdi" rimaneva il centro, tutto il resto era decentramento. Furono altri 13 anni, che da allora sono e restano sotto gli occhi di tutti.
Il 1° marzo del 1977 scoppiarono due temporali, nel cielo della militanza musicale italiana: Badini lasciava il Comunale, Badini acquisiva la Scala. Dapprima non gradito a tutti (anche, pare, al suo predecessore Paolo Grassi), a Milano stette ancora 13 anni, per costituire qualcosa come la Filarmonica della Scala e compiere un miracolo come il bilancio di pareggio (dal 1984 al 1990 finale). Lavorare? da metà mattina a mezzanotte, sporcandosi di palcoscenico (come usava dire) e trovando pretesti per disertare colazioni, cene, tè e caffè, gli invisi salotti insomma. Escogitare? i finanziamenti privati, i cosiddetti sponsor, allora sconosciuti al teatro italiano. Molte fatiche, molta lealtà, molte soddisfazioni, molta unanimità (anche un dramma, purtroppo, cioè la morte a 17 anni del figlio Paolo). Dopo: quattro anni di presidenza dell’AGIS, quindi vari altri incarichi tra Roma e Stresa, infine nuovamente Bologna. Non al Comunale, che oramai era Fondazione e senz’aver dimenticato la svolta del ’64 forse sentiva già odore di crisi economica, ma all’Accademia Filarmonica, dove la sua “follia senile” (sue anche le parole) diede vita all’Orchestra “Mozart” in piena alleanza con la Fondazione Carisbo di Roversi Monaco e l’arte direttoriale di Claudio Abbado.
Era il 2004. L’ideatore sarebbe mancato tre anni dopo, sempre combattivo, lucido, volitivo, capace di impartire ordini tutti suoi come di ascoltare valenti progetti altrui. I tempi erano mutati, cercare finanziamenti s’era fatto più difficile, saperli trovare davvero stava diventando un’impresa per pochissimi. Anche per questo la scomparsa di Carlo Maria Badini, il 19 aprile del 2007, è stata un grande peccato, contro la realtà musicale in Bologna (oltre che, s’intende, per la sua persona e famiglia e rete di amici): un conto è chiedere promettendo e fantasticando, un conto chiedere persuadendo e rassicurando. Del resto, la nuvoletta che emanava dal sigaro sempre acceso e gli circondava sempre la faccia bonaria doveva essere proprio l’unica cosa fumosa, in quella bianca testa tutta pesante di provvidi pensieri.
La genesi della "Mozart"
Nel 1997, a oltre settant'anni, Badini divenne Accademico Filarmonico di Bologna, secondo una prassi che certo non accoglieva chiunque e contro quella stessa prassi, altera, molto rigida, troppo esclusiva. Tre anni dopo, grazie all'accademico e cornista Luigi Girati che l'aveva introdotto nell'illustre consesso di musicisti e musicologi, collaborò con la secentesca Accademia di via Guerrazzi all'aggregazione di Riccardo Muti (di cui recitò la necessaria laudatio). Dopo altri tre anni, gli balenò l'idea di fondare, in Accademia appunto, una piccola orchestra italiana che si preparasse a celebrare l'imminente 250° anniversario della nascita dell'illustrissimo accademico Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791). Compagno d'avventura doveva essere Fabio Roversi Monaco, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna e accademico da un anno: perché poi piccola, l'orchestra, e tutta italiana? e perché non commetterne le sorti a un grande direttore come Muti o Abbado? Muti stava progettando l'edificio dell'Orchestra "Cherubini", sempre giovanile e mai poi invecchita, e non poteva accettare; accettò Claudio Abbado, entusiasta fondatore di orchestre giovanili qua e là per il mondo che, raggiunto a Ferrara da Badini in compagnia della figlia Alessandra Abbado, qualcosa aggiunse e qualcosa tolse: la nuova orchestra non fosse piccola né giovanile (nel senso di esclusivamente tale) e si chiamasse direttamente "Mozart", per prepararsi all'evento ma anche per fregiarsi del nome sempre e dovunque. Ecco l'organigramma: Abbado direttore-concertatore e direttore artistico, Roversi Monaco presidente, Badini vicepresidente operativo, Giovanni Oliva direttore generale, Cesare Mazzonis consulente artistico (più tardi); prime parti Giuliano Carmignola e Daniel Gaede violinisti, Danusha Waskiewicz viola, Enrico Bronzi violoncello, Alois Posch contrabbasso, Jacques Zoon flauto, Alessandro Carbonare clarinetto, Alessio Allegrini corno (dopo una lunga selezione effettuata in audizioni a Bologna, Roma e Bolzano di 130 elementi). L'unico settore iniziale doveva biforcarsi nel 2007: l'Orchestra stessa, tanto duttile da potersi atteggiare, nel momento del concerto, ad ensemble settecentesco o frammentare in assiemi dal trio all'ottetto; e l'Accademia dell'orchestra, un corso di formazione che ammettesse alla scuola delle prime parti una ventina di giovani strumentisti all'anno, italiani e stranieri.
Il 4 novembre del 2004 l'Orchestra "Mozart" esordì al Teatro "Manzoni" di Bologna, avviandosi verso un futuro glorioso che avrebbe dato moltissimo alla Regia Accademia Filarmonica, alla città di Bologna, alla sua tradizione e classicità musicale. Non per questo dovevano finire le tribolazioni di Badini, sempre alla ricerca disinteressata ma in effetti altisonante di finanziamenti e passibile spesso di indifferenze e dinieghi. Di qui, prima del concerto dell'8 giugno 2006 al "Manzoni", un appello concepito da Badini e firmato da Abbado (in realtà ben coordinato): fra l'altro vi si legge che "il futuro dell'Orchestra Mozart è a rischio: l'impegno finanziario della Fondazione Carisbo, essenziale e significativo, ma pressoché unico nel sostegno della nostra attività, non può essere il solo, ma deve accompagnarsi a quello dello stato, della Regione e degli Enti locali". L'appello cadde nel vuoto ma Badini continuò a lottare, a combattere, a suo modo a vincere ancora. La morte lo colse tre anni dopo la fondazione. L'Orchestra Mozart doveva vivere fino alla morte di Claudio Abbado (2013) e poi rinascere, sempre in Accademia e per volontà del suo presidente Loris Azzaroni, con la direzione prima di Bernard Haitink e infine di Daniele Gatti (2019), consulente artistico Gastón Fournier Facio.
Esiti artistici superlativi, inutile dirlo, grazie a un ingegnere, un architetto, un demiurgo del suono e della musica come Abbado. Ma anche, durante il decennio abbadiano, una cornice cittadina alquanto disomogenea: ai plausi di pubblico e critica facevano eco di polemica altre istituzioni di diversa natura teatrale, concertistica, orchestrale, sclastica, universitaria, culturale, museale, religiosa, associazionistica, divulgativa che si sentivano mortificate a esigere i loro supporti economici nella quotidiana realtà di un'esperienza musicale lontana dei media. I picchi montani sono indiscutibili, ma non esisterebbero senza gli altipiani, le colline, le pianure: così l'arte e la musica appartengono a tutti, debbono spaziare, hanno bisogno di ossigeno dovunque stiano.
La vita sua per la musica altrui
"Una vita per la musica" sottotitola l'agile volume che Bononia University Press ha dedicato al personaggio due anni dopo la scomparsa (Bologna, 2009), a cura di Giorgio Festi, Luigi Girati, Nazario Sauro Onofri e con il contributo di Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Orchestra “Mozart”, R. Accademia Filarmonica e Istituzione Rossini: molto semplicemente il titolo è Carlo Maria Badini, e omaggia un uomo "di sala macchine" (parole sue), un uomo che non conosceva la scrittura della musica ma notoriamente è vissuto perché i bravi lettori la musica la facessero vivere a sua volta. Articolano il volume, ben cadenzato da azzeccate fotografie (senza posa, a gruppi, sorridendo, in platea, con Horowitz o Pavarotti, a colori), diversi interventi. Dunque Onofri descrive Badini nel passaggio da operatore politico a operatore culturale, Pietro Rattalino nella veste del sovrintendente del Comunale (essendone stato, all'epoca, direttore artistico), Alberto Sinigaglia come "impresario" alla Scala, Brunella Torresin come drammaturgo di un "ultimo atto" impostato sulla neoorchestra bolognese. Dopo un breve, asciutto ma quadratissimo autoritratto (appunto di Badini stesso), poche pagine di memoria e reverenza personale spettano a Sergio Fiorelli, Franco Varini, Fabio Roversi Monaco. Prezioso intermezzo (anche di immagini) è quello che ricorda l'assegnazione dell'Archiginnasio d'Oro a Badini, il 15 febbraio del 1991 nella sala del Consiglio comunale, il 29° di una serie iniziata nel 1963 con un italianista della tempra di Francesco Flora: recitò la laudatio Lamberto Trezzini.
Altrimenti l'attività di Badini è documentata dalla bibliografia dei luoghi di lavoro. Per il tempio meneghino basti La Scala racconta di Giuseppe Barigazzi (Milano, BUR), lunga e ricca cronaca stampata nel 1984 e ripetutamente aggiornata. Per il teatro massimo di Bologna cfr. Due secoli di vita musicale. Storia del Teatro Comunale di Bologna, a cura di Lamberto Trezzini, pres. di C.M. B. e repertorio critico degli spettacoli a cura di Sergio Paganelli, 3 voll., Bologna, Alfa, 1967, Nuova Alfa, 1987; Roberto Verti, Il teatro Comunale di Bologna, prem. di Felicia Bottino e di Gianni Tangucci, Milano, Electa, 1998; Cronache Musicali del Teatro Comunale di Bologna. Cronologia degli spettacoli 1984-2014, a cura di Nicola Pirrone, intr. di Francesco Ernani, Bologna, Pendragon, 2014 (con CD allegato comprendente anche le cronologie di Paganelli e Verti); Piero Mioli, Teatro Comunale di Bologna, fotografie di Carlo Vannini, Bologna, Scripta Maneant, 2019.
Piero Mioli
Badini, sovrintendente e fondatore
in Jadranka Bentini e Piero Mioli (a cura di)
Maestri di Musica al Martini. I musicisti del Novecento che hanno fatto la storia di Bologna e del suo Conservatorio
Bologna, Conservatorio «Giovan Battista Martini», 2021