Luigi Fusconi
Luigi Fusconi (Mensa Matelica, 29.VIII.1923 - Catania, 29.VI.2003).
Dalla Romagna alla Sicilia via Bologna
Luigi Fusconi, nato a Mensa Matelica (Ravenna) il 29 agosto 1923 da Urbano e Santa Argnani, crebbe in una famiglia dove il padre era un repubblicano convinto "di quelli storici e anticlericali per i quali il matrimonio era da farsi in municipio e i figli potevano anche non essere battezzati” (come scrive Franco Dell'Amore) e che scelse di essere sepolto, avvolto da un tricolore in terra sconsacrata. Urbano e il fratello Aristide, detti i Galvén, gestivano una propria orchestra di liscio che fu attiva fino al 1941: qui Luigi cominciò a esibirsi già a sei anni, ma non senza dover vincere le ostinate resistenze del padre, che ne fu maestro di violino da quando ne aveva appena quattro, e che si mostrava irremovibile nel contestargli la sua inadeguatezza. Aristide fu meno insensibile ai pianti del nipote e, dopo avergli insegnato i primi fondamenti di teoria, chitarra e improvvisazione, lo aiutò a inserirsi nel gruppo con il quale riscosse tanto successo da divenirne immediatamente la principale attrazione. Luigi proseguì negli studi prima con Emilio Gironi, di cui continuò ad utilizzare il fortunato metodo didattico durante tutto il corso dell'attività di docente; e poi con Giovanni Chiti e Riccardo Brengola, diplomandosi sotto la guida di Alessandro Materassi al Conservatorio “Giovan Battista Martini” di Bologna.
Fusconi parlava spesso della figura pittoresca di suo padre, dal quale trasse non solo l’amore per la musica ma anche quei sentimenti politici che lo portarono a crescere avventurosamente tra gli incontri di pugilato, il rischio di una denuncia per renitenza alla leva militare e l’attività di partigiano. La questione dell’attività partigiana non è del tutto definita: oltre a me so che ne vennero a conoscenza dallo stesso Fusconi i musicisti Fortunato Antonuccio e Santi Interdonato, con i quali mi trovai a parlarne; la famiglia non sembra ne sia mai stata al corrente e il suo nome non risulta tra i partigiani noti all’ANPI ma, in diverse occasioni, è certo che Fusconi abbia parlato dettagliatamente di alcune sue imprese. Similmente tenne sempre viva la memoria dei propri insegnanti e di alcuni dei compagni di studi. Dai ricordi sortiva un quadro poetico e appassionato, pennellato all’ombra delle torri e immerso nell’atmosfera goliardica tipica di quegli anni. In particolare ricorreva il ricordo di quanto il maestro Brengola ritenesse importante lo studio del preludio della terza partita a violino solo di Bach (BWV 1006), tanto che il fischiettio dell’incipit della composizione era diventato, per gli alunni, un segno convenzionale di riconoscimento. Fioccavano gli aneddoti anche sulle ispezioni a sorpresa del direttore del Conservatorio Cesare Nordio che, in silenzio e con la sua eterna sigaretta, verificava l’andamento dei corsi e i progressi degli studenti. Durante queste narrazioni, a un certo punto Fusconi abbassava la voce e accennava al fatto che, inspiegabilmente, ai congiunti dei gerarchi fascisti venisse sempre riconosciuto qualcosa in più rispetto agli altri. Luigi annoverava tra le amicizie giovanili cui fu più legato i fratelli Marcello e Claudio Abbado, dei quali frequentava assiduamente l’abitazione milanese; in particolare, riferiva di una volta che il padre Michelangelo, pur se confinato a letto da una bronchite, si slanciò in sala per vedere chi stesse suonando il Nigun di Ernest Bloch con l’accompagnamento del figlio Marcello; Baal Shem restò per sempre nel suo repertorio, un elenco amplissimo che spaziava dal tardo '600 al contemporaneo dove era riservato ampio spazio anche a brani virtuosistici come l’Hora staccato (1906) di Grigoras Dinicu. Tra i compagni di studi, invece, Fusconi nominava molto spesso il giovanissimo Cristiano Rossi, appartenente a una generazione diversa dalla sua, un' autentica gloria bolognese che indicava spesso agli allievi più promettenti per approfondire gli studi.
Ascoltando i racconti di Fusconi, si giungeva alla conclusione che, escluso Herbert von Karajan, avesse collaborato come spalla dei primi violini con tutti i direttori più importanti dei suoi anni. Tra i tanti si ricorda Sergiu Celibidache, che fu particolarmente attivo in ambito bolognese dal 1956 al 1973 in seno all’Associazione Orchestra Stabile di Bologna che preludeva alla rinascita dell’orchestra del Teatro Comunale: il maestro riferiva di quanta pazienza ci volle per resistere ai modi del direttore non sempre scevri da conflittualità e, specialmente, all’insistente fischiare con cui Celibidache richiamava perentoriamente e pubblicamente alla corretta intonazione. Vincitore di concorso a cattedra, Fusconi insegnò violino ad Alghero e poi al Liceo musicale di Messina (in seguito Conservatorio “Arcangelo Corelli”), dove restò fino al 1992, anno della pensione, e dove fu tra i docenti che sostennero con coraggio l’istituzione in una fase economicamente molto difficile. Fu vincitore di concorso anche al Teatro Massimo “Vincenzo Bellini” di Catania e vi svolse il ruolo di spalla dei primi violini dall’11 dicembre 1960 fino al 31 maggio 1987, alternandosi per lungo tempo con Carlo La Spina.
Luigi Fusconi è morto a Catania il 29 giugno 2003. Il direttore d’orchestra Maurizio Arena, che ebbe tante volte l’occasione di far musica con lui, lo ricorda scrivendo: "Violinista dal carattere franco, Gigi, efficace sempre per compiutezza espositiva, aveva tecnica solida che gli permetteva esiti musicalmente importanti. Lo ebbi tante volte “spalla” nella Orchestra del Teatro Bellini di Catania, collaboratore intelligente, efficace, entusiasta, ruolo in cui mostrava le sue belle qualità umane che si accompagnavano a doti di bel musicista. Gigi Fusconi è nel mio ricordo con speciale affetto". Similmente, anche gli alunni conservano il ricordo di un virtuoso capace di suonare consecutivamente e alla perfezione i 24 Capricci op. 1 di Paganini, con un suono dalle sfumature calde, con quella voce umana tipica della migliore tradizione italiana le cui qualità timbriche sorprendevano ancor più in quanto sempre avvincenti indipendentemente dallo strumento di cui si servisse. Nonostante questo suo particolare dono, il maestro non nascondeva di avere delle preferenze e di non apprezzare particolarmente gli strumenti "chiacchierini", dicendosi in special modo poco entusiasta di molti dei violini costruiti in seno alla rinata scuola bolognese. A questi ne preferiva altri dalle sonorità più morbide, come quella del suo violino ravennate Luigi Mingazzi e del presunto Lorenzo e Tommaso Carcassi che lo accompagnarono per tutta l’attività.
Anche intorno ai suoi violini fioriva l’aneddotica. Erano racconti come quello del Carcassi che, per tutto l’arco di tempo compreso tra l’armistizio e la partenza delle truppe statunitensi, restò sepolto in una cassetta di zinco ai piedi di un albero della campagna di famiglia. Ma Luigi riportava anche storie di liutai, come Arturo Fracassi, Armando Barbieri e altri delle sue parti, di cui provava a comunicare la sensazione di innata genialità che aveva maturato durante la loro frequentazione.
Il liscio e l'aspetto
Nonostante Fusconi abbia avuto, già dai primi anni della sua carriera professionale, la possibilità di esibirsi in contesti prestigiosi, quando capitava l’occasione continuava a cimentarsi volentieri con il liscio romagnolo, con amici di vecchia data in orchestre dai nomi spesso naïf come la Lazzaronica: ma "mai con i Casadei!". Questo del liscio era un legame con la sua infanzia e la sua terra, di cui conservava la passione non solo per la musica da ballo ma anche per la campagna, altro amore così forte che, durante le sempre più brevi permanenze a Mensa Matelica, lo si trovava quasi sempre intento a zappare nell’orto di casa accompagnato dalle geremiadi della madre, cui pala e zappone destavano preoccupazioni per le mani del figlio violinista. Retaggio della sua provenienza fu probabilmente anche quella forma di arcaica superstiziosità che, alle volte, emergeva dai suoi suggestivi racconti, e che si manifestava anche in censure su alcuni brani musicali: tra i vari se ne ricorda in particolare uno molto noto di Antonio Bazzini, messo all’indice e bandito a tal punto che non lo si doveva nemmeno nominare, tra colorite imprecazioni e scaramanzie (cosicché ci si astiene dal citarlo anche in questa sede). Pur se in un genere diverso, va menzionata anche l’attività svolta con l’orchestra di Pippo Barzizza, che all’epoca era celeberrimo e che lo portò ad avvicinarsi a figure dall’abituale presenza sui rotocalchi di quegli anni. Luigi accennava con malcelato orgoglio a una misteriosa principessa-attrice con cui avrebbe avuto più di una semplice amicizia, cosa che non mancava di destare l’ammirazione in qualcuno degli allievi presenti che, chissà, si intravedeva anch’egli coinvolto in future avventure da rivista patinata.
Fusconi ci teneva che anche la sua imponente figura fosse sempre curata. Appena entrato in aula si riavviava i capelli all’indietro con un pettinino che teneva in custodia, ma spesso non prima di aver eseguito alla perfezione, con ancora il soprabito indosso, un brano virtuosistico con un violino preso a caso a uno degli allievi. Quanto all’abbigliamento, era curato anch’esso, benché immutabilmente costituito così: maglie a collo alto color panna un po’ corte di manica, pantaloni con tasche applicate, mocassini e impermeabile scuro. Inoltre gli allievi messinesi, quelli dei primi anni di insegnamento come la bolognese di adozione Giuseppina La Face e Pierluigi Crisafulli, così come quelli degli ultimi, ricordano che restò sempre generoso, affabile, preciso ed accurato, con quell’infantile giovialità che contraddistingueva il suo amore per la musica. A questo si deve aggiungere che Luigi Fusconi era un accanito lettore di gialli e che amava celiare, con un senso dell’umorismo tutto suo, come quando, con la sua parlata mista di romagnolo e siciliano, ripeteva agli alunni che "Bach, Bruch, Bloch, i compositori con la B, si suonano tutti un po’ alla stessa maniera". La domenica, libero da impegni, il maestro destinava l’intera mattinata allo studio della Ciaccona dalla partita di Bach BWV 1004, tra le lamentele rassegnate della moglie Pina che, ogni tanto, avrebbe anche voluto condividere qualche momento col marito e chiedergli un piacere. Ultimo ma non per ultimo: mai abusare della sua pazienza.
Grazie
Devo parte delle informazioni confluite in questo contributo a Valeria Fusconi, figlia di Luigi, che ringrazio per la disponibilità e la gentilezza dimostratemi anche nell’inviarmi alcune foto del padre. Un doveroso e sentitissimo ringraziamento va inoltre all’amica Alba Crea (mai abbastanza lodata), a Cesare Brusi, agli ex allievi Giuseppina La Face, Pierluigi Crisafulli e Carlo Magistri, ai miei ex compagni di studi Angela Alessi e Marcello Spina che mi hanno aiutato nel corso della redazione (a loro ripenso sempre con nostalgia e affetto). Tutti hanno contribuito con entusiasmo, appena appreso che si stava provando a ricostruire una biografia del maestro. Tanto di quanto scritto proviene, inoltre, dai miei ricordi delle conversazioni intercorse durante le lezioni.
La citazione di Maurizio Arena proviene da un lettera inviatami il 17 agosto 2020: al maestro direttore e concertatore d'orchestra va la mia gratitudine per aver voluto condividere i suoi ricordi (non in subordine, anche per quanto insegnatomi sotto la sua direzione durante la mia attività professionale in orchestra). Oltre a Emilio Gironi, Metodo pratico elementare per l’insegnamento del violino, Milano, G. Ricordi, ca. 1912, possono servire due lavori: Franco dell’Amore, Romolo Zanzi, uno dei padri della musica da ballo romagnola, in «Studi Romagnoli», LXII, 2011, Cesena, Stilgraf, 2012, pp. 313-331; e Alba Crea, La scuola, in 1921-1991 la Filarmonica Laudamo di Messina, a cura di Carlo de Incontrera e Alba Zanini, Messina, Filarmonica Laudamo, 1993, pp. 164-191.
Fabrizio Longo
Fusconi a Messina
in Jadranka Bentini e Piero Mioli (a cura di)
Maestri di Musica al Martini. I musicisti del Novecento che hanno fatto la storia di Bologna e del suo Conservatorio
Bologna, Conservatorio «Giovan Battista Martini», 2021