Camillo Oblach (Padova, 21.VIII.1895 - Bologna, 11.XI.1954).

Maestro di colleghi
Al Teatro "Verdi" di Padova, nel 1907, doveva andare in scena Tosca, quando improvvisamente si ammalò il primo violoncello. Impresario e direttore d’orchestra si rivolsero per un sostituto ad Arturo Cuccoli, noto violoncellista nonché docente al Liceo Musicale cittadino, il quale propose subito un suo giovane studente, Camillo Oblach. Quando, però, il direttore si vide arrivare un dodicenne, alto poco più del suo violoncello, pensò a uno stupido scherzo del Cuccoli, chiedendogliene ragione con una certa veemenza. In realtà, già alla prima prova, direttore e orchestra restarono ammaliati dalla preparazione e dalla personalità di questo imberbe talento, che diede così inizio alla sua brillantissima carriera.
Camillo Oblach era nato a Padova il 21 agosto 1895 da Ferdinando e Berenice Maffei, in una famiglia come tante, umile e onesta. Camillo intraprese lo studio del violoncello fin dall’età di otto anni, spinto dall’esempio di un amico, Felice Lopez, poco più grande di lui e figlio dei vicini di casa. Camillo si sarebbe poi diplomato, superando quello che all’epoca si chiamava l’esame di Magistero, nel 1915. Un anno, questo, fondamentale per la vita del giovane, ormai ventenne: fu chiamato alle armi per il servizio di leva e gli morì il padre, Ferdinando, per la terribile febbre spagnola. Finita la guerra, nel 1920, dopo essersi sposato in marzo con Antonietta Lopez, sorella di Felice, fu contattato e messo sotto contratto come violoncello di fila dalla Società Orchestrale Milanese per la costituenda Orchestra "Toscanini", composta da 98 elementi e nucleo della futura orchestra della Scala. La compagine iniziò le prove il 4 ottobre in vista di una storica tournée in America, che si sviluppò lungo 59 concerti in 41 città degli Stati Uniti dal dicembre di quell’anno all’aprile seguente. Prima della partenza oltreoceano, l’orchestra aveva rodato il repertorio e la sua coesione in una serie di appuntamenti in patria, da Milano a Parma, da Padova a Firenze, Roma, spingendosi fino a Fiume, in quel periodo occupata da D’Annunzio. Qui il Vate, colla sua solita inventiva, rinominò sia Toscanini che l’orchestra: il primo divenne il Sinfoniaco, la seconda Legione Orfica. Il tour americano, nonostante le entusiastiche cronache italiane, non riscosse critiche così positive: Robert Aldrich del «New York Times» trovò l’orchestra mancante di vigore e colori. Tuttavia, ed è quello che più conta, sia Fritz Kreisler che Pierre Monteux, due tra i maggiori direttori del tempo, apprezzarono grandemente l’interpretazione beethoveniana di Toscanini.
Al ritorno dagli Stati Uniti, Oblach vinse il posto di insegnamento in vari Conservatori e Licei musicali, prima a Cagliari nel 1923, poi l’anno dopo a Pesaro e nel 1925 a Bologna, da cui non si sarebbe più spostato, tranne un periodo di "coabitazione"’ con il liceo di Genova fino al 1933. Vinse brillantemente per titoli la cattedra anche al Conservatorio di di Palermo, con una lusinghiera relazione della commissione giudicante, ma rinunciò al posto per restare nella sua ormai amata Bologna. Fu, infine, chiamato dal conte Chigi Saracini a tenere un corso di perfezionamento presso la neonata, ma già apprezzata, Accademia Musicale Chigiana di Siena.
Due circostanze particolarmente fortunate furono la partecipazione con l'orchestra dei Solisti Italiani diretta da Antonio Guarnieri alle celebrazioni di Stradivari nel maggio 1937 a Cremona e a quelle in onore di Nicolò Paganini, nel giugno 1940, al Teatro "Carlo Felice" di Genova. Per quanto riguarda l’attività orchestrale, Oblach partecipò all’attività della Scala nel 1949 e, in anni diversi, suonò con l’Orchestra del Maggio Musicale, del Comunale di Bologna, della Fenice di Venezia e della RAI di Torino. Numerose anche le sue apparizioni come solista; si ricorda il concerto diretto da Rafael Kubelík nel 1950 al Teatro Comunale di Bologna in occasione dei suoi venticinque anni di insegnamento presso il Conservatorio cittadino, festeggiato da numerosi ex allievi che vollero onorarlo con una medaglia d’oro, come segno di gratitudine.
Negli anni '30 collaborò in duo con Francesco Molinari Pradelli, futuro direttore di fama mondiale e all’epoca brillante pianista appena diplomato, poco più che ventenne. Nell’aprile del 1934, Oblach contribuì a ricostituire, con Enrico Campaiola, Alessandro Materassi e Federico Barera, il Nuovo Quartetto Bolognese. Con il Quartetto di Roma, invece, dove subentrò nel 1933 al posto di Luigi Silva, partecipò a tournée in tutta Europa fino alla grave malattia che lo colpì. Infatti, nel 1950, mentre si trovava a Chiavari per un recital, ebbe una paresi al braccio destro che fece disperare, se non per la sua vita, senz’altro per la sua arte. Eppure, con grandissima forza di volontà, l’11 aprile 1952 riuscì a ripresentarsi davanti al pubblico per un concerto di beneficenza al teatro Astor di Chiavari, come per riannodare, proprio dalla cittadina ligure, quel filo che colà si era spezzato due anni prima. Tuttavia, la salute del musicista aveva evidentemente subito un colpo tremendo e l’11 novembre 1954 Oblach si spense prematuramente nella sua Bologna all’età di 59 anni. Come docente ebbe, specie nel Conservatorio felsineo, una serie di devoti allievi, a loro volta, poi, insegnanti nei vari conservatori o membri di importanti orchestre: Cesare Bonzanini, Dino Caravita, Orfeo Giovannini, Bruno Morselli, Giorgio Sassi, suo erede nell’istituto bolognese. Tra tutti, spicca decisamente la figura di Amedeo Baldovino, membro di due celeberrimi trii: il Trio Italiano d’archi con Franco Gulli e Bruno Giuranna e il Trio di Trieste, con Dario De Rosa e Renato Zanettovich (vi subentrò nel 1962 a Libero Lana). Nel primo anniversario della scomparsa, così ricordò il "Martini": "uomo fuori dalla vita comune, dedito soltanto alla sua arte nella quale e per la quale visse, l'Oblach seppe invero far cantare il suo violoncello portandone le note di successo in successo nei paesi d'Europa e d'oltre oceano con accenti di rara sensibilità e viva comunicativa». Ancora, nel decimo dalla scomparsa, nuovamente il Conservatorio volle ricordarlo con una serata in cui si esibirono quindici suoi ex allievi, ormai affermati docenti e interpreti, giunti da tutta Italia e anche dall’estero, spinti dall'affetto e dalla riconoscenza verso l’antico maestro. Nel 1979 e nel 1982, la Regia Accademia Filarmonica di Bologna, sotto la presidenza di László Spezzaferri, promosse due edizioni del concorso internazionale per giovani violoncellisti dedicato a Camillo Oblach, che vide tra i vincitori un giovanissimo Mario Brunello. La commissione, di assoluto prestigio, era composta da Maud Tortelier, Franco Rossi, Radu Adulescu e Raphael Sommer.
Qualche aneddoto
Come tutti quelli della sua generazione, Oblach si trovò a fare i conti con le due terribili guerre che devastarono il Novecento. E se la prima lo investì in pieno, scoppiando nel momento di slancio della giovane carriera, anche la seconda di fatto lo colse nella fase della maturità artistica e di uomo. Erano tempi in cui il Caso governava la vita delle persone e i più insignificanti episodi potevano, al piacere della fortuna, trasformarsi in momenti drammatici o in divertenti aneddoti da raccontare ai nipotini. Di uno di questi, Oblach fu protagonista, quando si trovava sfollato con la famiglia a Riccione, durante la seconda guerra mondiale. Il 7 novembre del 1943, a notte fonda, davanti alla casa in cui vivano gli Oblach, si fermò con grande strepito una colonna di automezzi tedeschi con una quarantina di militari tedeschi a bordo. Oblach, a causa del suo cognome che poteva suonare straniero, se non ebreo, era stato già oggetto di "particolari" attenzioni da parte di zelanti funzionari fascisti, per cui un legittimo terrore assalì tutti i componenti della famiglia, Camillo, la moglie e i giovani figli, quando risuonò il campanello, una, due volte. I genitori, prontamente, fecero sgattaiolare i ragazzi in giardino e Oblach affrontò il destino andando ad aprire la porta. Si presentarono quattro ufficiali e l’unico che parlava qualche parola di italiano chiese se Camillo Oblach abitasse in quella casa. Oblach rispose fermamente di essere lui quello che cercavano, immaginando già il peggio ma il tedesco, di risposta, disse che il colonnello Hans Hadler, il più alto in grado dei quattro, aveva saputo che lì viveva un grande violoncellista e, incuriosito, voleva sentirlo suonare. Così, a notte inoltrata, in una situazione irreale, Oblach, in vestaglia, imbracciò il suo strumento ed eseguì, per quell’inconsueto uditorio, una Suite di Bach, lasciando estasiati i suoi ascoltatori.
Nel dopoguerra Oblach, come tanti artisti fondamentalmente disinteressati alla politica, si trovò nella paradossale situazione di doversi giustificare per avere partecipato a manifestazioni del regime fascista durante il ventennio, vedendosi respingere seccamente una rettifica inviata all’«Unità» in merito a un commento sgradevole su di lui e altri colleghi per aver partecipato a una manifestazione a favore del Fondo Nazionale Matteotti. Allo stesso tempo, si trovava a figurare come antifascista agli occhi degli irriducibili apologeti del Duce, per essere un sodale di Toscanini. Il 3 settembre 1946 Toscanini diresse, con la sua orchestra, un concerto alla Fenice di Venezia. Quello che era diventato un eroe dell’antifascismo, continuava a ricevere violenti attacchi da parte della stampa criptofascista, riuscita senza troppi problemi a traghettarsi nella giovanissima Repubblica: «La Fiamma» di Trieste lo definì "concertatore di stragi" e, facendo il paragone con Mascagni, morto da un anno e vanto del fascismo (seppure l’adesione del compositore al regime fosse più per opportunismo che per reale adesione; come tanti, del resto) scriveva:«Il musicista Mascagni - estinto - vive sempre nel cuore del popolo italiano. Il musicante Toscanini - vivo, vegeto e ben pagato - è morto da tempo per gli italiani".
Nel 1949 «La Domenica del Corriere», all’epoca il più diffuso settimanale italiano, celebre soprattutto per le sue copertine disegnate da Achille Beltrame prima e dal dopoguerra da Walter Molino, immortalò Oblach, con tanto di movimentato disegno dello stesso Molino, raccontando un bizzarro episodio occorso al violoncellista alla frontiera di Tarvisio. Un doganiere austriaco, vista l’ingombrante custodia del violoncello, chiese a Oblach di aprirla; all’orgogliosa affermazione del musicista che si trattava di uno strumento assai prezioso, un Nicola Gagliano, il doganiere minacciò di porre un pesante dazio su di esso. Oblach, ovviamente, protestò che si trattava di un effetto personale, usato per la sua professione, ma il funzionario non volle sentire ragioni, affermando di non fidarsi delle affermazioni del musicista. Alla fine, per essere sicuro che chi aveva davanti fosse realmente un violoncellista, il doganiere chiese a Oblach di suonargli qualcosa per dimostrare che questi non mentiva. Così, dal Gagliano iniziarono a uscire le note di un Notturno di Chopin, tra lo stupore e l’ammirazione dei presenti. Alla fine di quest’improvvisata esibizione, il doganiere, con un sorriso sornione, ammise scusandosi di essere già sicuro di non avere a che fare con un contrabbandiere, ma confessò di aver voluto approfittare per ascoltare, dopo tanto tempo, un po’ di buona musica. Chissà se Oblach non avrà sorriso a sua volta, anche pensando a suo padre Ferdinando, funzionario del dazio…
Tracce
A testimoniare la fama ormai consolidata di Oblach al punto più alto della sua carriera, vi sono i programmi di 15 registrazioni effettuate in duo o come solista con l’orchestra per i programmi radiofonici dell’EIAR, l’antenata della RAI, in un arco temporale che va dal 10 maggio 1936 al 23 giugno 1949. In essi si può costatare come l’attenzione di Oblach per la musica contemporanea, oggettivamente tipica di quel periodo, si unisse felicemente col repertorio più classico. Folta è la presenza di autori italiani, da quelli ormai di rarissima esecuzione come Enzo Masetti, Ennio Porrino, Giuseppe Mulè, Luigi Ferrari Trecate, Renzo Bossi e Sebastiano Caltabiano, a quelli che ancora riescono, ai nostri giorni, a fare anche faticoso capolino nei programmi di sala: Alfredo Casella, Franco Alfano, Giuseppe Martucci, Goffredo Petrassi, Lino Liviabella. Spicca, tra tutti i programmi, l’esecuzione del Konzertstück per violoncello e orchestra di Ernő Dohnányi, il 14 aprile 1937, con l’Orchestra Sinfonica dell’EIAR diretta da Fernando Previtali. Vi sono poche ma preziose tracce anche del suono di Camillo Oblach: Vittorio Gui, fondatore nel 1933 del Maggio Musicale Fiorentino, lo definì come “la più bella voce di violoncello che abbia l’Italia”. Quattro registrazioni del 1935 incise su dischi Cetra a 78 giri in duo col pianista Mario Salerno rappresentano queste tracce; i dischi includono La fontana malata di Renzo Rossellini, fratello del regista Roberto e autore celebrato di innumerevoli colonne sonore, il Notturno in do diesis min. di Chopin (trascrizione di un’opera pianistica postuma), la Ninna nanna di Schubert (in questo caso trascritta da Oblach stesso e pubblicata per Suvini Zerboni) e l’Adagio e Rondò di Carl Maria von Weber.
Infine, l’attività come compositore di Oblach è stata meritoriamente messa in luce al Conservatorio di Bologna almeno in due circostanze. Nel già ricordato decennale della sua scomparsa, nel 1964, in apertura di serata Mario Bolognesi, uno studente del 2° corso, eseguì tre piccoli brani pensati da Camillo Oblach proprio per gli allievi principianti: Passano i soldatini, Gavotta, Cucù. Il 13 gennaio 2005 un’altra serata celebrativa in Sala Bossi: il violoncellista Mauro Valli (allievo di Giorgio Sassi, e quindi, per così dire, "nipote artistico" di Oblach stesso) e il pianista Stefano Malferrari hanno eseguito la prima assoluta dell'inedita Elegia autunnale. Valli e Malferrari hanno suonato anche nel concerto Sul filo della memoria: Camillo Oblach, il 6 giugno 2008 all'Accademia Filarmonica; musiche di Domenico Gabrielli, Johann Sebastian Bach, Domenico Gabrielli-Guido Guerrini, Carl Maria von Weber, Camillo Oblach (ancora Elegia autunnale), Hélène Derégis e Johannes Brahms; uno dei tre strumenti era il Nicola Gagliano di Oblach; firmava il breve programma di sala, Camillo e il suo cello, l'accademico e consigliere Piero Mioli. A suggello del rapporto tra il grande musicista e la sua città d’adozione, nel 2012 il figlio Giorgio, attento curatore del lascito paterno, ha generosamente ceduto diversi cimeli all'Accademia Filarmonica, che ha intitolato a Camillo Oblach una saletta all’interno della propria sede di palazzo Carrati.
Chi ha scritto queste pagine porge un particolare ringraziamento a Luca Oblach, nipote di Camillo, per avergli amichevolmente dato accesso ai documenti in suo possesso.

Guido Giannuzzi
Camillo e il più bel cello d'Italia
in Jadranka Bentini e Piero Mioli (a cura di)
Maestri di Musica al Martini. I musicisti del Novecento che hanno fatto la storia di Bologna e del suo Conservatorio
Bologna, Conservatorio «Giovan Battista Martini», 2021