Stefano Golinelli (Bologna, 26.X.1818 – ivi, 3.VII.1891).

Gran carriera
L’Ottocento strumentale italiano - questo il titolo del saggio di Sergio Martinotti, pubblicato ormai mezzo secolo fa - andrebbe studiato con maggiore attenzione. Stefano Golinelli, vissuto tra il 1818 e il 1891, è certamente uno dei migliori esempi di quali siano stati, e potrebbero essere ancora, i frutti di una ricerca approfondita nelle biblioteche e negli archivi delle nostre istituzioni musicali. “Uno dei più illustri artisti viventi, e fra i compositori pianisti, il primo d’Italia”: così un biografo del suo tempo, che non esitava a parafrasare il divino poeta, descrivendo il musicista come colui che “sugli altri come aquila vola”; personaggio che ebbe tuttavia la vita “talmente occupata più a nascondersi che a mostrarsi”, da “rendere assai malagevole il compito del biografo”; poiché - secondo felici espressioni attribuite a Igino Ugo Tarchetti - “all’amena diletta sua città natale” aveva “posposto i trionfi d’una vita nomade e brillante”.
Tra il 1827 e il 1833, negli stessi anni in cui Robert Schumann termina gli studi classici e inizia la sua carriera di compositore e di critico musicale, Golinelli studia contrappunto al Liceo Musicale di Bologna con Benedetto Donelli (a sua volta allievo, tra il 1806 e il 1812, dell’erede di Padre Martini, Stanislao Mattei), prolungando quel filo diretto con la tradizione della scuola bolognese che, attraversando tutto l’800, giunge fino a Ottorino Respighi, il cui padre Giuseppe (1840-1923), pianista, era stato anch’egli allievo di Golinelli. Dopo varie prove pubbliche, il 27 ottobre 1836, probabilmente su segnalazione di Rossini, il diciottenne riceve l’aggregazione dalla Reale Accademia Filarmonica in qualità di maestro compositore onorario. Nel 1839 si trasferisce a Milano, dove prosegue per qualche tempo gli studi di composizione con Nicola Vaccai. Ma l’anno successivo, di nuovo su proposta di Rossini, consulente onorario dell’istituzione, viene nominato docente di pianoforte al Liceo Musicale, dove insegnerà per più di trent’anni. Negli anni '40 la carriera concertistica lo porta in varie città italiane (nel 1843 a Napoli, l’anno successivo alla Scala di Milano, poi, nel '45, a Firenze e Genova; e ancora, tra il '46 e il '47, a Ferrara e Palermo). Nel 1842 Rossini reclama la sua presenza alle prove dello Stabat Mater, scrivendo:
«Carissimo amico, non credo ai vostri mali, non accetto la vostra dimissione ed esigo veniate questa mane alla prova, ove potrò io stesso meglio del medico giudicare lo stato delle cose. Ho bisogno in questa circostanza di talenti e di buoni amici; voi riunite le due specialità, quindi non potete, anche a costo della vita, abbandonarmi. Le somme pretese ch’io esercito con voi sono in ragione del sommo amore che vi porto».
Nello stesso anno, Golinelli viene ascoltato da Ferdinand Hiller, compositore, critico musicale e pianista virtuoso fra i più acclamati del suo tempo, che stava compiendo il suo primo viaggio in Italia in occasione dell’esecuzione scaligera della sua opera La Romilda, caldeggiata dallo stesso Rossini. Il virtuoso tedesco, amico di Schumann e dedicatario del Concerto per pianoforte op. 54, in un articolo pubblicato sulla «Revue et Gazette Musicale de Paris», non esita a presentare Golinelli come il miglior pianista italiano del suo tempo.
Il 25 aprile 1844, nella sua «Neue Zeitschrift für Musik», Robert Schumann pubblica a sua volta un articolo altamente elogiativo, definendo gli Studi op. 15 “tra le apparizioni più interessanti della musica pianistica contemporanea”: opere che danno “improvvisamente un segno di vita”, in un’Italia che rispetto alla Germania o alla stessa Francia reputava questo filone musicale di scarso interesse, dando sempre più l’impressione “di volersi addormentare sui propri allori”. Schumann ritiene che “all’apparizione di queste composizioni, che richiedono un notevole virtuosismo”, debba riservarsi la massima attenzione, “più ancora che se le si riguardasse in un’ottica puramente estetica”, per il fatto che esse “rivelano un talento che richiama degnamente l’antica gloria italiana”; aggiungendo che Golinelli si basa evidentemente sugli stessi fondamenti dell’arte dei più importanti maestri; e, nonostante i suoi Studi non presentino lo stesso grado di difficoltà di quelli di Liszt o dei suoi emulatori, attestano tuttavia un notevole virtuosismo, in un compositore per il quale la tecnica “non è il fine ultimo, ma soltanto un mezzo”. Elogiando sia l’idea che la forma dei brani, dove “in ogni singola frase parla un talento, la cui significativa forza creativa è alimentata da un profondo studio e da un gusto raffinato”, conclude con un’apostrofe “agli artisti e agli studiosi di estetica musicale”, ai quali raccomanda una considerazione speciale per quegli studi brillanti e pieni di spirito.
Sull’onda di questo inatteso riconoscimento internazionale, a partire dal 1851 Golinelli intraprende varie tournée a Londra, a Parigi e in varie città della Germania, dove ritornerà spesso, acclamato come “il Bach italiano”. E la sua fama sarà tale da permettergli di esibirsi in duo con i più noti virtuosi del suo tempo, quali il violoncellista bergamasco Alfredo Piatti, definito da Liszt “il Paganini del violoncello”, e il violinista genovese Camillo Sivori, sodale di Rossini e di Verdi e stimatissimo da Paganini, tanto da esserne considerato il più degno erede. Per avere un’idea dei concerti dell’epoca, il 20 ottobre 1856 a Bologna, in “una brillante adunanza” della quale facevano parte “ben più che cento signore del fiore della città”, data in occasione dell’apertura del negozio di pianoforti di Girolamo Crescentini e Giuseppe Costa, si esibiscono la cantante Emilia Pasi, i violinisti Pinelli e Sarti e il violoncellista Parisini. Golinelli suona da ultimo e riappare in duo con il clarinettista Domenico Liverani, “con tant’anima, grazia e squisito sentire, che dall’entusiasmato uditorio si volle la replica”.
Attivo sulla scena italiana anche come intellettuale e consulente, il pianista e compositore bolognese aderisce nel 1862 alla Società del Quartetto di Firenze in qualità di Socio Protettore; ed è assai probabilmente su suo suggerimento che l’istituzione, insieme con i Quintetti di Boccherini, Haydn, Mozart, Beethoven e Mendelssohn, pubblica, prima in Italia, un’edizione tascabile del celebre Quintetto op. 44 di Schumann. L’elegante libretto appare per i tipi dello Stabilimento Musicale calcografico fondato dal primo contrabbassista del Teatro della Pergola, Giovanni Gualberto Guidi, ultimo della Serie di Sei Partiture per gli Associati del 6° Anno Sociale 1866-67, che si trovava ancora in commercio in Germania, alla fine del secolo, presso l’editore Schott. La stessa casa Ricordi aveva infatti seguitato a ripubblicarla, dopo averne acquistate le lastre nel 1887, quattro anni dopo la morte dell’editore fiorentino, quando le figlie Amalia e Marianna avevano cessato l’attività.
Nel 1868, a Milano, Golinelli si adopera alla diffusione delle musiche dei giovani compositori italiani, aderendo all’Istituto Filotecnico Nazionale Italiano: la società era nata l’anno precedente allo scopo di favorire “il progresso delle scienze, delle arti, dell’industria, commercio, agricoltura. ecc.”, aprendo “le vie della celebrità all’intelligenza e al genio” dei propri soci. Il pianista bolognese era oramai talmente famoso, da potersi permettere il lusso di celiare anche in una pubblicazione che usciva con tutti i crismi dell’ufficialità, l’Annuario Generale della Musica pubblicato a Napoli nel 1875 ad opera di Michele Carlo Caputo. L’autore, critico musicale, ex-garibaldino e anch’egli “Socio Compositore onorario” dell’Accademia Filarmonica di Bologna, sarebbe divenuto direttore della Biblioteca Estense di Modena e in seguito di quella romana di S. Cecilia. Tra le Note biografiche contemporanee dell’annuario, compare una breve e scherzosa nota autobiografica di Golinelli, introducendo la quale l’imbarazzato estensore non può che usare un corsivo, unito a un superlativo che è un evidente eufemismo: “Di questo artista, generalmente proclamato il Bach italiano, è pregio dell’opera riportare letteralmente l’autobiografia brillantissima che egli si è compiaciuto inviarmi”. Segue direttamente il breve testo, che conviene qui riportare per intero, non fosse altro che a titolo di pura curiosità, non essendo mai stato ripubblicato:
«Nato a Bologna il 26 ottobre 1818 (come mi è stato detto) studiai la musica al Liceo di questa città. Benedetto Donelli fu il mio maestro di pianoforte e di contrappunto. A 12 anni terminai (senza saper niente) il corso di Pianoforte. A 13 anni scrissi un kyrie (forse composto dal maestro) che fu eseguito alla Metropolitana: e poco dopo suonai al Teatro Loup una mia composizione (!) per Pianoforte e orchestra [si trattava di un teatro privato bolognese, situato nel palazzo Ghisilieri, che ospitava l’Accademia dei Filodrammatici, nell’attuale piazza Calderini, fondato dall’omonimo imprenditore svizzero e inaugurato nel 1827, dove nel 1829 erano state eseguite la Giulietta e Romeo di Vaccai e la Semiramide di Rossini]. Seguita l’autobiografia: “A 17 ebbi il diploma dell’Accademia Filarmonica. Nel 1839, desideroso d’imparare qualche cosa, fui a Milano da Vaccaj, che mi fece scrivere molta musica religiosa e teatrale. Di ritorno a Bologna, ebbi la nomina di Professore di Pianoforte al Liceo (1840). Annoiato dell’insegnamento, feci un po’ il Concertista, e visitai alcune fra le principali città italiane, e per prima Napoli (1842). Fui a Parigi, Londra e in Germania. Nel 1851, fissatomi stabilmente nella mia città nativa, vissi alcuni anni bevendo, mangiando e facendo poco. Maggiore attività mostrai dopo il 1859, componendo ed insegnando. Nel 1871 abbandonai il Liceo, e nulla di poi scrissi di nuovo. Le cose mie stampate, sono quasi tutte per Pianoforte solo».
Arabeschi e pianisterie
A contribuire a questo elegante self-understatement del compositore è una breve testimonianza indiretta, nella quale afferma di non essersi “occupato che d’arabeschi pianistici”. In realtà, la lettera è assai più importante di quanto si possa immaginare a tutta prima, per il suo inserirsi nel contesto ancora poco studiato della musica religiosa italiana dell’800: un tema che parte dalle osservazioni sull’operato di Spontini apparse nello scritto a firma di Franz Liszt De l’état de la musique en Italie del 1839, per giungere, nel 1862, alle considerazioni più generali di Berlioz nel suo La musique à l’église e alle feroci critiche di Louis d’Ortigue al pastiche della Messe Solennelle de Rossini, tirée des œuvres de cet illustre maître par Castil-Blaze. Nella lettera del 2 ottobre 1876, da Mirandola, Golinelli scrive alla direzione del Congresso Cattolico, che l’aveva invitato a far parte del comitato organizzatore: «io non potrei che ripetervi quello che tutti sanno, cioè la poca religiosità del genere di musica che oggi si eseguisce nel tempio di Dio. Se non fosse ignoranza sarebbe colpa dei compositori, e degli organisti, i primi collo scrivere musica profanamente sensuale, i secondi col riprodurre i ritmi danzanti e le forme drammatiche dell’opera. [Dunque] poche sono le eccezioni fra i maestri, ma pur ve ne sono, ed a questi maestri eccezionali, e non a me che non mi sono occupato che d’arabeschi pianistici, si dovrebbe chiedere come si possa por rimedio al male. Forse manca l’ingegno, forse il sentimento religioso, e fors’anche mancano i mezzi di retribuire gli artisti, i quali sapendo di non poter vivere col comporre musica da Chiesa, e col suonare l’organo, si dedicano all’insegnamento del canto e del pianoforte trascurando gli sudi severi necessari a farsi valenti nell’arte».
E, come aveva già fatto l’anno precedente a favore del concorso di composizione bandito dall’Istituto Musicale di Firenze in occasione delle celebrazioni dedicate a Bartolomeo Cristofori, propone di inviare un proprio contributo per un premio da istituirsi appositamente a favore dei compositori: «Il Congresso Cattolico non può dar l’ingegno, che è dono di Dio. Può bensì sviluppare il sentimento religioso provando che solo la religione fa nobile l’uomo. I mezzi retributivi si avrebbero qualora i cattolici volessero mensilmente sborsare alcuni soldi. Frattanto sarebbe bene pubblicare dei Concorsi tanto di musica vocale quanto di musica per organo. Se per uno di questi Concorsi mi si concedesse l’onore di dare il premio, accettando da me la somma conveniente a tale scopo, l’avrei per cosa graditissima».
Nel 1878, a testimonianza del valore e dell’importanza che aveva assunto la sua figura, il dodicenne Ferruccio Busoni, l’astro nascente del pianismo internazionale, dedica al celebre collega e amico i suoi Racconti fantastici op. 12. Nel 1882 Golinelli siede al tavolo della presidenza del secondo Congresso Musicale di Bologna. Due anni dopo, il 9 marzo 1884, la «Gazzetta Musicale» di Milano pubblica una sua breve biografia e ricorda: «non sommano a meno di duecento le opere pubblicate dal geniale pianista, il quale, rifuggendo a tempo dalle convenzionali riduzioni, variazioni e trascrizioni di opere teatrali in voga, può dirsi abbia ricondotto il gusto in Italia alle toccate, fantasie e sonate originali, delle quali la patria nostra aveva arricchito da sì gran tempo il patrimonio artistico del mondo civile».
E prosegue, menzionando con ammirazione «i Canti patetici, Dolori ed allegrezze, le Viole mammole ed altre graziose gemme del romanticismo pianistico in Italia”, oltre ai “parecchi studi interessantissimi, fra i quali vanno notati i Dodici (op. 15), sui quali la stessa Gazzetta di Lipsia [sic], diretta da R. Schumann, ebbe a pronunciare giudizio di lode e di ammirazione». E, dopo aver parafrasato un breve passo dell’articolo, chiude facendo proprie le parole del compositore di Zwickau, definendo il pianista «eletto rappresentante delle gloriose nostre tradizioni».
Terminato il suo lungo magistero, negli ultimi anni della sua vita, tra il 1871 e il 1881, Stefano Golinelli, anche a causa di un’infermità, si dedica interamente alla composizione, passando dal suo appartamento bolognese al piano terra del palazzo Hercolani a una casa di campagna, dove raccoglie il corpus delle proprie composizioni in ventidue volumi. All’Accademia Filarmonica fa dono del proprio pianoforte Érard, che aveva eletto a suo strumento preferito, condividendo le scelte di Liszt e del giovane e stimatissimo collega Adolfo Fumagalli, prematuramente scomparso. Insieme con quelli di Padre Martini, Stanislao Mattei e Rossini, il busto di Golinelli, scolpito da Silverio Montaguti, viene eretto nel Pantheon della Certosa di Bologna. Per divertirsi ancora una volta con la storia, conviene a questo punto rileggere le battute apparse sulla «Gazzetta Musicale di Milano» del 3 febbraio 1861, dove si parla delle nuove generazioni di pianisti dopo Liszt e Chopin, riportando le battute dello spiritoso critico musicale bordolese Oscar Comettant: «la massa dei pianisti si può dividere in otto grandi categorie, cioè: il virtuoso che compone; il virtuoso che non compone; il virtuoso senza diti, altrimenti detto il pianista classico; l’accompagnatore; il professore che esegue; il professore che non esegue; il pianista per serata da ballo; il dilettante. A queste grandi suddivisioni si possono aggiungere certe specialità di pianisti che formano poche suddivisioni ma molto rimarchevoli, e sono: il pianista per ammalati e convalescenti; il pianista per seduzione; il pianista per vendetta; il pianista per far tutto; il pianista scroccone; finalmente il pianista polacco, il quale, il più sovente, non è polacco, non ha mai messo le mani sopra una tastiera, e non sa una nota di musica».
Come fa osservare Vitale Fano, è interessante che “il pianista senza diti” sia assimilato alla figura del pianista classico, quasi a voler testimoniare il mutamento del repertorio dei migliori virtuosi dopo la metà del secolo. Stefano Golinelli appartiene a quasi tutte, ma in realtà a nessuna di queste categorie. Anche se a un ascoltatore di oggi le sue musiche appaiono spesso pervase da quel lirismo elegiaco che indulge al sentimentalismo di stampo operistico, tipico della musica da salotto, in questo non si discosta troppo dai repertori dei virtuosi d’oltralpe, incluse le indimenticabili parafrasi lisztiane. Uno dei direttori della «Gazzetta Musicale di Milano», il critico musicale e compositore vicentino Filippo Filippi, parla del neologismo, coniato ironicamente dal nostro autore come sottotitolo di un suo pezzo sul Don Carlos: “altri lo avrebbe nominato semplicemente fantasia o capriccio: ma pianisteria forse esprime al meglio il divagare da un motivo all’altro, con belle traslazioni, e con passi variati, pieni di eleganza, veramente adatti al pianoforte”. Verrebbe quindi fatto di non concordare sul giudizio sommario espresso dall’estensore di un noto repertorio anglosassone a proposito della sua produzione pianistica, nella quale si ravvisa un intento prevalentemente didattico; né è sempre così evidente la derivazione delle opere di più largo respiro dai modelli tedeschi. In esse, piuttosto, va ravvisata quella strana e indefinibile contaminazione tra Classicismo e Romanticismo che si ritrova in alcune pagine pianistiche nell’ultimo Rossini, unita all’esigenza irrinunciabile di una forma di derivazione classica - beninteso, quella rivisitata dai Romantici - nelle opere di maggiori dimensioni. Il principale contributo di Golinelli, in special modo nelle cinque Sonate per pianoforte, sta nella creazione di un legame musicale tra la cultura italiana e quelle d’oltralpe, unito alla tendenza a ripristinare nella musica italiana un certo classicismo e il senso della tradizione: tutto questo in lavori per qualità unici, se riguardati nell’ottica del repertorio italiano del tempo. Risulta quindi più che evidente come, al riferimento a una non meglio identificata tradizione (che per le Sonate risiede in Mendelssohn e in Schumann, piuttosto che nell’assai meno fantasioso Hiller), vada aggiunta la ricerca di un lirismo tutto particolare, capace di far dialogare l’opera italiana con quella tedesca: da una parte, come si è detto, l’ultimo Rossini; dall’altra, certa vena melodica alla Carl Maria von Weber, unita alla sapienza cromatica di un grande virtuoso che ha conosciuto Wagner, e insieme la spregiudicatezza armonica dell’ultimo Schumann, in parte prefigurata dai Kreisleriana.
Spartiti, articoli, dischi
Oltre all’importante revisione degli opera omnia di Chopin, edita da Ricordi, tra le opere di Golinelli, pubblicate anch’esse prevalentemente dall’editore milanese, vanno ricordati i dodici Studi op. 15 (dedicati a Ferdinand Hiller, 1843), i due Studi da concerto op. 47 (1847); le cinque Sonate pianistiche: op. 30 (1845), opp. 53 e 54 (1850), op. 70 (1852), op. 140 (1858), particolarmente importanti; le sette Toccate: opp. 16 (1844), 48 (dedicata a Domenico Liverani, 1867), 130 (1860), 145 (1860), 186 (1866), 232 e la Toccata pastorale op. 38 (1847); i tre libri di preludi, molti dei quali bellissimi e originali: 24 Preludi op. 23 (dedicati a Rossini, 1845), 24 Preludi op. 69 (1852), 24 Preludi senza ottave op. 177 (1864); i Tre Quartetti per archi op. 100 (1854); i tre Notturni op. 7 (1842), i due notturni Amore e mestizia op. 51 (1850) e La violetta op. 108, il Nocturne op. 60 (1851); le due Fantasie romantiche op. 50 (1851) e op. 76 (1852), la Fantasia elegiaca op. 75 (1852), la Fantasia lirica op. 163 (1862). Oltre a una serie di brani da salon, tra cui le tarantelle Un sovvenire di Napoli op. 14 (1843) e Rimembranze della Sicilia op. 33 (1846), le due melodie Adèle e Virginie op. 34 (1846), la Barcarola op. 35 (1846), altre opere apparentemente leggere i cui titoli rischiano di trarre in inganno: Le viole mammole op. 39 (1847), Una dolce rimembranza op. 90, la sonatina La buona fanciulla op. 97 (1854), Pensiero affettuoso op. 103, Dolore e gioia op. 107, Il sospiro d’una giovanetta op. 115. Tra queste, meritano particolare attenzione il Boléro (Esquisse pianistique op. 120 n. 5), composto in uno stile originale che è al tempo stesso una pregevole sintesi di quelli chopiniano e lisztiano, i Deux Morceaux de salon op. 124 per clarinetto e pianoforte (1857) e ancora, per il pianoforte, Non v’ha rosa senza spine op. 125, i due Canti patetici op. 142 (1860), Io vo’ scherzare, vo’ ridere, vo’ saltare: Allegria per pianoforte op. 147, la Villanella, ricordo campestre op. 152 (1861), Pensieri op. 155 (1861), Pensieri intimi op. 179 (1865). Da ultimo, ma non meno importante, va ricordato il brano Ricordanze d’un tempo che fu op. 231, composto di sei numeri (All’ombra di un platano; Racconto; Dopo il Racconto; Passeggiata; Canzonetta; Memento), imbastiti su una serie di elementi tematici ricorrenti; in uno di essi (Dopo il racconto), inaspettatamente, fa la sua comparsa un’armonia a tratti più complessa, quasi atonale, che non solo riprende movenze lisztiane, ma addirittura anticipa l’uso indipendente della dissonanza di marca raveliana. Agli inizi del '900, Ricordi ha dedicato a Golinelli quattro volumi della grande antologia L’arte antica e moderna. Raccolta di composizioni per pianoforte (Stefano Golinelli, voll. 17-20, Milano, s. d.).
Tra i pezzi sacri, un’Ave Maria e una Salve Regina per soprano e pianoforte. Oltre a questi, numerosi brani senza numero d’opus, sotto forma di fantasie, pezzi caratteristici, studi e trascrizioni, i cui titoli ricalcano in gran parte quelli della lirica del tempo, alle nostre orecchie quanto mai involuti: come avviene per esempio, in campo letterario, per La miosotide palustre ( risposta alla sobria Epistola leopardiana del Carlo Pepoli librettista di Vaccaj e di Bellini) che, dopo aver prestato il titolo a un’omonima lirica di Giovanni Prati, finisce per adagiarsi esornata in verde e oro sul frontespizio milanese della Strenna pel Capo d’Anno 1859. Nel filone di questa sorta di Biedermeier italiano, Golinelli compone Divertimenti, Fantasie, Melodie, Pensieri, Ricordi, Rimembranze, Reminiscenze, Souvenirs, tutti incentrati sui temi degli operisti in voga, tra cui Rossini (opp. 13, 21, 28, 41, 95), Bellini (opp. 6, 18, 27, 66, 94), Donizetti (opp. 10, 19, 81), Vaccaj (op. 45), Pacini (op. 86), Meyerbeer (op. 88), Mercadante (opp. 42, 87); numerosissimi, com’è ovvio, quelli dedicati a Giuseppe Verdi (opp. 25, 32, 36, 43, 44, 77, 79, 80, 85, 89, 92, 93, 99, 149, 150, 174, 199), tra i quali particolarmente degne di menzione sono le belle Rimembranze del Rigoletto op. 89 per violino e pianoforte e le Rimembranze del Trovatore op. 98 per flauto e pianoforte.
Nell’archivio della Casa musicale milanese, varie decine sono le lettere inedite di Stefano Golinelli a Giovanni Ricordi. Oltre all’elenco delle opere stilato da G. Ciabattini (v. oltre), vanno menzionate la voce del DEUMM ad opera di F. Bussi e quella del DBI redatta da R. Meloncelli. Tra i gli articoli, il più celebre è quello sopra citato di R. Schumann (Stefano Golinelli, XII Studii per pianoforte dedicati a F. Hiller, op. 15, in «Neue Zeitschrift für Musik», Bd. 20, m. 34, 25.IV.1844, p. 134, quasi sempre citato di seconda mano, spesso con riferimenti bibliografici errati. Oltre alla voce di M. C. Caputo, Stefano Golinelli, in Annuario Generale della Musica, Napoli, 1875, vol. I, pp. 102-103, assente dalle bibliografie, si vedano F. Florimo, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatori, II, Napoli, 1882, p. 73; G. Masutto, I maestri di musica italiani del secolo XIX, Venezia, 1882, p. 91; Nuove pubblicazioni. Stefano Golinelli, Ventiquattro Preludi per pianoforte, in «La Palestra Musicale di Roma. Periodico Scientifico-Artistico», XII, 19, 28.X.1882, p. 75; da segnalare anche i necrologi di G.A. Biaggi in «Nuova Antologia», 1891, III s., vol. 35, p. 749-752 e N. N., Mementi artistici. Stefano Golinelli, in «Il Teatro Illustrato e la Musica Popolare», XI, luglio 1891, 127, p. 112, entrambi ignorati, sebbene contengono alcune notizie biografiche degne di nota. Ancora: G. Tacchinardi, Relazione del segretario […] e cenni necrologici degli accademici defunti, in «Atti dell’Accademia del R. Istituto Musicale di Firenze», XXX, 1892, pp. 10-11; N. N., Notizie e Note, in «Musica Sacra. Rivista Liturgica Musicale», XVII, 5, 1893, p. 95; E. Pirani, Stefano Golinelli, in «Gazzetta Musicale di Milano», XLIX, 1894, pp. 452-454; L. A. Villanis, L’arte del pianoforte in Italia. Da Clementi a Sgambati, Torino, 1907, pp. 186-190; G. Depanis, Concerti popolari a Torino, II, Torino, 1914, p. 147; S. Sani, Bologna di ieri, Bologna, 1922, p. 158. Interessante il contributo del letterato e germanista A. Farinelli, Il romanticismo e la musica, in «RIM», XXXIII, 1926, 2, pp. 161-180, cui seguono A. Brugnoli, La musica pianistica italiana dalle origini al Novecento, Torino, 1932, p. 96; A. Casella, Il pianoforte, Roma, 1939; A. Toni, Vittorio Maria Vanzo, Milano, 1946; E. Respighi, Ottorino Respighi, Milano, 1954, p. 10; M. Mila, La vita della musica nell’Ottocento italiano, in «Belfagor», XII, 1957, 5, p. 499; S. Martinotti, Poetiche e presenze nel pianismo italiano dell’Ottocento, in «Quaderni della Rassegna musicale», 3, 1965, pp. 184, 186-188; Due secoli di vita musicale. Storia del teatro Comunale di Bologna, a cura di L. Trezzini, Bologna, 1966, vol. II, pp. 50, 62, 66, 100, 102, 133; P. Rattalino, La musica pianistica italiana tra il 1900 e il 1950, in «Rassegna Musicale Curci», XX, 1967; S. Martinotti, Ottocento strumentale italiano, Bologna, 1972, pp. 480 segg. e passim; G. Ciabattini, Contributo a un riesame delle composizioni di Stefano Golinelli, tesi di laurea, Università di Firenze, Facoltà di Lettere, a.a. 1975-76; A. Basso, Il teatro della città dal 1788 al 1936, in Storia del teatro Regio di Torino, Torino, 1976, II, p. 445; V. Terenzio, La musica italiana nell’Ottocento, Milano, 1976, vol. II, pp. 533-537; R. Ceserani, Un episodio dell’attività giornalistica del Tarchetti: la Palestra musicale (1867), in «Critica Letteraria», VII, 1979, 23, pp. 309-343; G. Ciabattini, Per una riscoperta di Stefano Golinelli (1818-1891), in «NRMI», XIV 1980, 1, pp. 52-72; P. Rattalino, La sonata romantica, Milano, 1985; E. Fazio, Bottesini, i salotti privati e le società cameristiche e orchestrali italiane nel secondo Ottocento, in «NRMI», XIX, 1985, 4, pp. 609-611; M. 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Tra le incisioni discografiche, di particolare interesse Stefano Golinelli, Due pensieri affettuosi, 24 Préludes op. 69, Barcarola op. 35, con Giuseppe Fausto Modugno al pianoforte Érard già appartenuto a Golinelli (Accademia Filarmonica di Bologna), Tactus, 2004; e ancora Domenico Liverani. Brani per clarinetto e pianoforte (contiene una versione a due mani della Mazurka op. 125 e i due Morceaux de Salon op. 124 di Golinelli), Corrado Giuffredi, cl. Giuseppe Fausto Modugno pf., Tactus, 2006; Piano Music of Stefano Golinelli (Fantasia, op. 105, Sonata op. 54b, Scherzi e follie op. 182, Sonata op. 140, Fantasia villereccia op. 116), John Kersey pf., Romantic Discovery Recordings, 2009; Stefano Golinelli, Sonate per pianoforte (Sonate op. 30 e op. 53, Studi da Concerto op. 47), Francesco Gianmarco pf., Rivo Alto, 1995, Newton Classics 20132; Pianoforte italiano (Stefano Golinelli, Cicalata), Adalberto Maria Riva pf., VDE-Gallo, 2015; Stefano Golinelli, Piano Works (Melodia op. 179 n. 2, Sei melodie, Fantasietta n. 5, Barcarola op. 35, Due canti patetici op. 142, Sei Ricordanze di un tempo che fu op. 231, Due pensieri affettuosi), Giancarlo Simonacci pf., Da Vinci Classics, 2019.

Alberto Caprioli
Golinelli, il Bach d'Italia
in Jadranka Bentini e Piero Mioli (a cura di)
Maestri di Musica al Martini. I musicisti del Novecento che hanno fatto la storia di Bologna e del suo Conservatorio
Bologna, Conservatorio «Giovan Battista Martini», 2021