Lino Liviabella

Lino Liviabella (Macerata, 7.IV.1902 - Bologna, 21.X.1964).
Quale meteora
Non ho potuto conoscere personalmente Lino Liviabella: la mia frequentazione, come allievo, del Conservatorio “Giovan Battista Martini” risale agli inizi degli anni ’70, qualche tempo dopo la sua prematura scomparsa. Ricordo però che alcune volte i miei maestri mi parlarono di lui, citandolo come eccellente musicista e come persona di alto profilo umano e morale. Evidentemente l'entusiasmo e la dedizione che aveva profuso nel breve corso della sua direzione erano ancora molto vivi nell'istituto. Tra le prime composizioni di Liviabella che ho ascoltato, ricordo Tema, variazioni e fuga in una splendida esecuzione in concerto di Gino Brandi, il pianista che era anche suo genero: il pezzo m’impressionò per la complessità del discorso musicale e la grandiosità dell’effetto raggiunto. Molti anni dopo ho avuto modo di conoscere più a fondo la musica di Liviabella, ancora grazie a Brandi che mi propose, inaspettatamente, di suonare con lui in concerto Riderella, fiaba musicale per pianoforte a quattro mani e voce recitante. Quest’opera è agli antipodi dell'altra: nessuna complessità, la parte della melodia scritta in modo semplice, talvolta per una sola mano, perché potesse suonarla la moglie Lidia, la dedicataria che aveva studiato pianoforte. Pur concepita volutamente con mezzi semplici, questa musica spontanea e gioiosa nel fluire delle melodie, con alcuni momenti di struggente intensità, mi parve un piccolo gioiello, che andava dritto al cuore dell’ascoltatore. Il pianista Carlo Morozzo della Rocca, amico in gioventù e poi cognato di Lino Liviabella, in un articolo commemorativo del 1966 ne definiva in modo efficace la musicalità come “attraente, avvincente e convincente soprattutto grazie a quell’accento d’insopprimibile sincerità che tutta la pervade”: queste parole descrivono felicemente qualcosa che io sentivo sia nella complessità contrappuntistica di Tema, variazioni e fuga sia nelle semplici melodie di Riderella. Al nostro primo concerto in duo a Tolentino ne seguirono poi numerosi altri, e anche frequentando Gino, la moglie Laura e il fratello Lucio (che ancora oggi cura il sito dedicato al padre) ho potuto conoscere più approfonditamente la figura e l’opera di Liviabella.
Lino Liviabella nasce a Macerata il 7 aprile 1902 in una famiglia di musicisti: la madre Iraide Zamponi era pianista e il padre Oreste compositore; il nonno paterno Livio, maestro di cappella nella basilica di S. Nicola a Tolentino, era stato allievo di Rossini che nel 1847 aveva diretto più volte una sua sinfonia. I genitori però desideravano che si laureasse, e così, come racconta Morozzo della Rocca, Lino si iscrisse all’Università a Roma. I due amici si conobbero proprio all’Università e Carlo si accorse subito che per Lino, figlio devoto e animo retto e sincero, l’eventualità di dover contravvenire, palesemente o no, alla volontà dei suoi genitori, costituiva addirittura una tragedia. Dopo un periodo per fortuna breve i genitori, che erano giunti a minacciare di tagliargli i viveri, si arresero all’evidenza e ai consigli delle persone amiche e autorevoli che avevano preso le difese dell'aspirante musicista. E capì per la prima volta la forza d’animo e la straordinaria capacità di resistenza dell'amico: giovanissimo, appena uscito dalla protettiva cerchia familiare, praticamente solo in una grande città in cui contava pochissimi amici, affrontò con baldanza, quasi con buonumore una situazione che molti avrebbero considerato con spavento. Lino diede lezioni private e suonò il pianoforte in cinema di periferia, ma intanto si era iscritto ai corsi d’armonia e contrappunto del Conservatorio; dove, aperto e socievole com'era, si cattivò subito le simpatie di tutti, maestri e condiscepoli. Più tardi, fatta la pace con i genitori, si dedicò agli studi musicali con quella dedizione assoluta che per tutta la vita restò la sua cifra caratteristica.
Dunque al Conservatorio di S. Cecilia Lino ottiene in diploma in Pianoforte nel 1923, poi quello in Organo e infine nel 1927 quello in Composizione, sotto la guida di Ottorino Respighi (con il quale avrà sempre un rapporto di solida amicizia). I genitori avevano fondato nella loro casa a Macerata la Scuola di Musica “Liviabella”, dove insegnava tutta la famiglia compresa la sorella Livia, anche lei pianista; ma Lino ottiene da subito incarichi didattici più importanti, per il pianoforte e per l’armonia prima al Liceo musicale di Pescara, dove diventa anche il primo direttore, poi a Teramo, quindi è nominato docente di Armonia complementare e Bibliotecario al Conservatorio di Venezia. Nel 1929 sposa Lidia Morozzo Della Rocca, sorella dell’amico Carlo: nel 1931 nasce la primogenita Laura e nel 1933 Lucio, che diventerà un valente violinista e violista; e sono anni in cui alcune sue composizioni ottengono i primi significativi riconoscimenti in concorsi ed esecuzioni pubbliche.
Nel 1936 il poema per orchestra Il Vincitore ottiene una grande affermazione con il II premio al Concorso internazionale delle Olimpiadi di Berlino: sarà eseguito a Firenze, Roma e Torino sotto la direzione di Franco Ferrara, con il quale l'autore instaura subito un rapporto di sincera amicizia. Negli anni successivi seguono molte altre affermazioni: la lirica La gondola è prima al Prix “Alice Lumbroso” di Parigi, il poema sinfonico Monte Mario viene premiato in ben tre concorsi, la Sonata ciclica per violoncello e pianoforte vince il I premio al Concorso nazionale Scaligero di Verona.
Nel 1940 Liviabella vince il concorso per la cattedra di Fuga e composizione al Conservatorio di Palermo, e due anni dopo diviene titolare della cattedra al Conservatorio “G. B. Martini” di Bologna, dove si stabilisce definitivamente: per alcuni mesi del 1947 è direttore reggente, poi diviene vicedirettore. In questi anni scrive numerose importanti opere, dal poema sinfonico La mia terra a quel Tema, variazione e fuga per organo che risulta vincitore del Premio Friuli nel 1952. Nel 1953 è nominato direttore del Conservatorio Rossini di Pesaro e compone parecchie musiche tutte eseguite più volte e accolte molto favorevolmente da critica e pubblico. Nel 1959 diventa direttore del Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, mentre a Bologna il Teatro Comunale mette in scena la prima della versione in un atto di Antigone e l’Accademia Filarmonica gli conferisce il diploma per meriti artistici. Finalmente nel 1963 assume la direzione del Conservatorio “Martini”, ma dopo appena un anno, il 21 ottobre 1964, muore improvvisamente a soli 62 anni. Nel 1962, in Campidoglio, aveva ricevuto il diploma d’onore del Comitato Internazionale per l’unità e la universalità della cultura: “Pur rifuggendo da complicazioni intellettualistiche, non tralascia di cogliere le aggiornate risorse tecniche, sempre impegnandosi in altri problemi di coscienza e di idealità, sempre rimanendo nel solco della nostra gloriosa tradizione”. L’impegno di Liviabella nel breve periodo della sua direzione del Conservatorio di Bologna, dal 1963 al 1964, si ispirava naturalmente agli stessi valori della sua arte. In un annuario destinato a raccogliere studi e ricerche dei docenti egli espose dettagliatamente i suoi “progetti per l’avvenire”, in 18 punti. Se ne riportano qui soltanto alcuni passaggi, anche per sottolinearne l’attualità: fare molta propaganda, in modo da incrementare la frequenza alle Scuole medie dell’obbligo nel Conservatorio; promuovere l’affluenza di nuovi allievi nelle classi meno frequentate, in modo che possano rifiorire le orchestre carenti oggi, specie negli archi; limitare al contrario l’eccedenza di iscritti in pianoforte, le cui classi sono piene; promuovere concerti o audizioni di dischi per le scuole; trovare tutte le forme per fare innamorare della musica quello che sarà il pubblico di domani, istituendo anche nuove borse di studio e premi-donazione di strumenti ai meritevoli; accentrare sul Conservatorio l’interesse della Bologna musicale e la fiducia dei bolognesi; seguire “con vigilante affetto e con segnalazioni efficaci” i migliori alunni anche dopo il diploma aiutandoli nella loro carriera; ripristinare e potenziare la collaborazione fra Conservatorio e Teatro Comunale. Infine, Liviabella fu molto attento, cosa piuttosto rara tra i nostri cattedratici, verso l’istruzione musicale di base a cui dedicò nel 1963, anno della riforma della scuola dell’obbligo, un testo destinato alle classi di Educazione musicale della nuova Scuola Media Unificata, lavorando in collaborazione con il musicologo Raffaello Monterosso.
Musica come spiritualità
Da questa biografia emerge chiaramente una personalità poliedrica, attiva in tutti i settori della composizione, come spiega bene Franco Ferrara nelle note a un disco contenente Monte Mario, le due Sonate per viola e pianoforte (con lo stesso autore alla tastiera), la ricostruzione e armonizzazione di un canto popolare marchigiano. Le note cominciano con uno sguardo al catalogo, esteso dal teatro lirico alla musica sinfonica e da camera: le opere teatrali Antigone, La Conchiglia e Canto di Natale; le cantate Manina di neve, Sorella Chiara, Caterina da Siena, O Crux, ave! e Le sette parole di Gesù sulla Croce; i poemi sinfonici Il vincitore e La mia terra; il Concerto per orchestra, la Sinfonia per soprano e orchestra (su testi di T.S. Eliot), la Suite Fiabesca, le tre Serenate e il Poema per piano e orchestra. Poi una memoria personale, di Ferrara stesso, e un plauso di Silvio Pedrotti:
«Conobbi Lino Liviabella nel 1939 quando diressi il suo poema sinfonico Il Vincitore col quale vinse le Olimpiadi di Berlino per la Musica. Sempre nel 1939, con l’Orchestra Sinfonica della RAI di Torino, eseguii, per la radio, Monte Mario. Profondamente attratto da questa partitura la diressi come cosa mia e da allora considerai l’amicizia di Liviabella un dono prezioso. Premiato al Concorso Nazionale della Fondazione Respighi e al Concorso per il Premio San Remo, Monte Mario è dedicato da Lino Liviabella alla memoria del suo Maestro Ottorino Respighi ed è scritto nella forma dei suoi celebri poemi sinfonici. Prende nome dal colle romano sul quale si trova la villa “I Pini”, prediletta dimora di Respighi dove il Maestro lavorò e si spense. La musica ne evoca quattro momenti che corrispondono idealmente alla vita del Maestro; i tempi si susseguono ininterrottamente [...]. Due versi di Pascoli scritti all’inizio della partitura riassumono il concetto del lavoro sinfonico: “Or né canta, né ode: abita presso / il brusio di una fonte e d’un cipresso”. Molte le esecuzioni di questo poema sinfonico in Italia e all’estero. Tra i direttori ricordo: Franz von Hoesslin, Paul van Kempen, Gianandrea Gavazzeni, Francesco Molinari Pradelli, William Steinberg, Ugo Rapalo. [...]. Grande fu l’interesse di Lino Liviabella per la musica popolare della sua terra: le Marche. Il suo poema sinfonico La mia terra e la Rapsodia picena per pianoforte, assieme ai molti canti trascritti per coro di cui Natu, natu Nazzarè contenuto in questo disco, ne sono l’esempio.
Ho sentito con trepida commozione nascere l’idealizzazione del mio canto. Un miracolo di fusione e di poesia nella coralità intuita sulle armonie verticali e nell’abbandono orizzontale della melodia con quello stupore e con il candore che io credo irraggiungibili come i più bei sogni della fanciullezza... Bravi, troppo bravi! Le Marche si sono rinfrescate alla vostra sorgente con una spontaneità ritmica e fluida che sembra nata da voi».
A testimonianza di quanto fosse profonda questa amicizia tra Ferrara e Liviabella, è degno di nota quanto racconta il figlio Lucio in un articolo sul giornale «L’Arco»: nel febbraio del 1948 Liviabella scriveva la lirica Il conforto della morte su parole sue introdotte da una lettera scritta (e non spedita) a tre amici uno dei quali era appunto Franco Ferrara. Ecco la prima parte della lirica, seguita dalla riposta del sodale:
«E quando, mio carissimo amico, questo nostro cuore disperato di non poter più piangere (che s’era fatto di pietra prima di morire), quando questo povero cuore avrà cessato di battere, nell’amoroso silenzio della morte, noi sogneremo allora con irrimediabile angoscia il dolce mondo. Sopra la nostra terra sorrideranno le stelle e moriranno lievissime nell’alba e canterà un inno d’amore la luce buona del giorno e tremerà la tenerezza della primavera.
Carissimo Lino, non so esprimerti e tanto meno scrivere ciò che vorrei esprimerti. Sei un angelo! A parte tutto il resto la tua composizione è molto bella ed è sincera come è la tua anima».
Uno dei tratti più importanti della personalità di Liviabella era la profonda fede cristiana, manifestata anche in un gran numero di opere di soggetto religioso alcune delle quali di notevoli proporzioni; ne parla ancora Carlo Morozzo della Rocca nel suo ricordo dell’amico: “La sua fede non aveva nulla di dottrinale o di rigido: [e] una componente religiosa si ritrova anche nel sentimento animatore delle altre sue opere (compresa l'Antigone); anzi, direi, ne costituisce l'elemento più personale”. Tra le tante riflessioni che Liviabella affidava ai suoi taccuini, quattro quaderni che datano dal 1954 al 1964, si leggi infatti: “Dio è prima fonte di ogni respiro sia vitale che artistico. Alla musica il compito di farci pregustare, nella nostra affannata vita terrena, il paradiso e l’eternità”. La suite per pianoforte Il Presepio è anch’essa ispirata dall’autentica religiosità di Liviabella unita al senso di appartenenza alla sua terra, le Marche, dove la tradizione natalizia del presepio è particolarmente sentita. Questa composizione valse l’ammirato commento del grande pianista Alfred Cortot, che mandò all’autore questa lettera:
«Caro Signore, non posso dirVi abbastanza quanto io sia stato conquistato dalla poesia che si sprigiona dalle notazioni musicali che Maria Teresa Franchini mi ha portato da parte Vostra. Pur conservando tutto il sapore naïf che avete voluto far esalare da loro, sono la testimonianza della più sottile e raffinata musicalità ed io mi felicito molto sinceramente di questa perfetta riuscita. Credetemi ben sinceramente Vostro Alfred Cortot».
Lucio Liviabella ricorda un altro drammatico episodio dei tempi della guerra, che ci narra di come allora Lino cercasse un rifugio nella fede e nella composizione. Era il 24 luglio 1943, la famiglia Liviabella abitava a Bologna in un edificio isolato in prossimità dei prati di Caprara e dello scalo ferroviario, e il maestro stava componendo al pianoforte quando il rumore di una formazione di bombardieri anticipò una serie di esplosioni spaventose che fecero ondeggiare paurosamente la casa: era stato colpito un convoglio tedesco carico di munizioni e un’immensa fiammata si alzava fino al cielo: “mio padre sembrò non accorgersi di nulla, era immerso nella creazione di Sorella Chiara”; ed è proprio in quel tragico 1943 che nacque una delle sue pagine più colme di poesia e di pace, Il Presepio.
Secondo Morozzo della Rocca Liviabella non negava l’importanza della forma ma affermava e sosteneva la sua fede romantica nel valore dell’opera d’arte in quanto espressione di un contenuto vissuto, sentito e sofferto. Il giorno seguente quello della morte sul «Resto del Carlino» Lionello Levi sul Resto del Carlino scrisse di un “un linguaggio musicale legittimo e modernamente inteso ed espresso, le cui idiomatiche caratteristiche fluivano dalla grande lezione dei compositori postverdiani e, per certe considerazioni, anche postwagneriani, con qualche attenzione per i francesi e per i russi”. Un anno dopo Carlo Bagnoli, direttore d’orchestra che era stato tra i migliori allievi di Liviabella, gli rese omaggio sulla stracittadina Famèja bulgnèisa con il ritratto più ampio che segue. Dapprima influenzato dalla musica di Respighi, che era stato suo maestro a S. Cecilia, Liviabella seppe ben presto acquisire un personale linguaggio fatto di nuove conquiste armoniche, timbriche e coloristiche, che seppe filtrare e assimilare con coscienza. Le risorse della sua preparazione lo avrebbero facilmente portato ai più audaci esperimenti d’avanguardia, ma egli si rifiutò sempre di associare il suo nome a movimenti e scuole che non lo trovavano d'accordo. Il maestro sosteneva soprattutto, più con l'opera che con la parola (a differenza di tanti) che ciò di cui il mondo aveva più bisogno era la spiritualità, grazie a contenuti che trascendessero il materialismo imperante: egli ricercava sempre nelle opere, sue e altrui, l’essenza più profonda, il messaggio dell’artista e del creatore. Giustamente Emidio Mucci, il librettista collaboratore, a proposito di Liviabella parla di esistenzialismo cristiano. E a me piace chiudere con un altro dei pensieri che Lino Liviabella ha affidato ai suoi taccuini, e che mi ha particolarmente colpito: “Gli ideali sono come le stelle: irraggiungibili. Ma come quelle, la loro luce illumina la nostra notte”.
Grazie a Lucio, di Piero Mioli
Curato e regolarmente aggiornato dal figlio Lucio, il sito www.linoliviabella.com parla alto e chiaro, come la Riderella del maestro suona limpida e tranquilla. Le 273 composizioni di Liviabella vi sono ordinate in 14 settori (più un 15° di otto trascrizioni altrui di opere sue), con una numerazione araba che continua da un settore all'altro (senza bisogno di numeri romani per i singoli, ora invece adottati per maggiore chiarezza): alcuni loro caratteri generali possono essere la pietà cristiana (spesso di cadenza natalizia e agiografica), la simpatia per il mondo dell'infanzia, una notevole tendenza all'umorismo, l'importanza o addirittura la profondità dei significati da comunicare (dai testi scelti per il canto al descrittivismo strumentale), il gusto e anzi il proposito di assegnar titoli e un interesse speciale, nelle composizioni maggiori, per la forma tripartizione o meglio per il trittico. A parte qualche caso di musica smarrita, si tratta di altrettanti manoscritti e di diverse stampe. Pochi esempi basteranno a lumeggiare l'imponente corpus, cominciando dal settore che conta opere sceniche (1-9): I: la classica Antigone (I, 6) da Sofocle risulta stampata (Roma, De Santis, 1960) e registrata (RAI, 1956), il gotico Canto di Natale (I, 9) da Dickens solo registrato (RAI, 1963).
Copiosa la musica corale (II, 10-49), che annovera ben tre inni a S. Cecilia e una pregevole esecuzione della cantata O Crux, ave! con il grande soprano marchigiano Anita Cerquetti (1963, direttore Arturo Basile). Meno numerosa la più impegnativa musica sinfonica (50-62), che tuttavia conta alcune partiture da considerare fra i capolavori: Monte Mario (III, 58), composto nel 1937 e pubblicato l'anno dopo da Ricordi, consta di 4 parti (Profili di cipressi tra la nebbia dell'alba, Rami fioriti tra voli di rondini, La quercia schiantata, La fonte e il cipresso); La mia terra (III, 59), altro poema composto nel 1942 e poi pubblicato da Suvini Zerboni, di altrettante parti accoppiate a colori (Gli stornelli all'oro, La processione del Venerdì Santo al viola, Le pastorali del Natale al bianco, Il saltarello al rosso). Si sorvoli sul già citato Vincitore (III, 57) e s'aggiunga, opera giovanile e certo profetica di usi e costumi, il Trittico sinfonico (III, 54) del 1923-24, conservato solo in versione pianistica come Le Palme, La Passione e La Resurrezione. A proposito della tripartizione: nella musica per orchestra da camera (63-76) si trovano le Tre serenate (IV, 76) dell'estremo 1964, Umoristica (a Dulcinea), Soave (a Beatrice) e Bisbetica (a Santippe); e in quella per solo e orchestra (77-80) Tre pagine d'argento (V, 78), il trittico La Madre (V, 79) e Tre liriche (V, 80) su testi dialettali che sono il toscano, il marchigiano e il veneziano. Appena due le opere per strumento e orchestra (81-82), ma il singolare Poema per pianoforte (VI, 81) del 1952 vanta due interpretazioni di valore a parte di Lia De Barberiis e Gino Brandi. A oltre cento numeri ammonta il settore per voce e pianoforte o strumenti (83-184): non mancano testi autorevoli di Sergio Corazzini e Aldo Palazzeschi, ma la maggioranza porta la firma del compositore stesso; molti sono i pezzi d'ispirazione popolare, concepiti a cicli e spesso fissati sul prediletto numero 3; la Ninna nanna al Bambin Gesù (VII, 124) del 1926 vuole una voce infantile. Fra i pochi cori della tradizione marchigiana (185-187) spiccano gli otto Canti popolari (VIII, 187) del 1946 che sono per 4 voci maschili con più tarda trascrizione di 4 per 4 voci miste.
Torna abbondante la musica da camera (188-222), che esibisce pezzi per flauto, oboe, arpa e pianoforte (o anche armonium), due sonate per viola, tre sonate per violino (due pubblicate da Ricordi), quattro quartetti per archi, un commovente Canto per la prima Comunione di Laura e Lucio (IX, 207) del 1942. Anche la musica per pianoforte abbonda (223-252), spaziando fra marionette e ritrattini, dal pregevole e già citato Presepio (X, 243) che la Suvini Zerboni ha pubblicato e Gino Brandi registrato la quanto mai paterna Giornata di Lucio (X, 244) del 1943, dove il fanciullo si sveglia, studia, gioca, ha sonno. Fra le poche musiche pianistiche a 4 mani (253-258) brilla uno dei capolavori di Liviabella, Riderella (XI, 254), in sei parti e ascoltabile da parte di tre pregevoli coppie di interpreti, mentre la Suite-giocattolo (XI, 258) del 1952 è destinata a “bambini piccolissimi” suonanti a 2 o 4 mani, fino a un Cucù da suonarsi “in braccio”. Le poche musiche per arpa e per organo (259-267) brillano di cicli tre per tre (intermezzi, canti per la morte di un fanciullo, preludi natalizi) e del dotto, già citato trittico di Tema, variazioni e fuga (XII, 263) risalente al 1952. L'elenco finisce con composizioni per fisarmonica (XIII, 268-269), riduzioni e revisioni (270-277) fra cui le Sei sonate a quattro di Rossini (XIV, 272) pubblicate a Pesaro nel 1954 come primo dei Quaderni rossiniani, le trascrizioni altrui di opere di Liviabella (XV, 1-8, fuori catalogo).
Quanto alla bibliografia, incontrano la figura di L. tutte o quasi le enciclopedie, le storie della musica, le pubblicazioni d'area regionale. Si possono citare contributi di varia specie a firma di A. Adversi, N. Amalfitano, M.T. Arfini, A. Barbadoro, A. Bayiou, F. Bellafante, P. Ciarlantini, A. Fogliasso, L. Gambara, M. Mancini, G.P. Minardi, E. Mucci, S. Ubaldi. Più in particolare: L'artista, la lampada e l'ombra, i generosi atti del convegno nazionale L. L. e il suo tempo (Macerata, 26-27-X.2002), a cura di Paolo Peretti e Carlo Lo Presti, Macerata, 2005; P. Peretti, voce L., L., in DBI, 65, 2005, eccellente sintesi di una vita; Gli anni bolognesi di L. L., a cura di Annarosa Vannoni, Bologna, Conservatorio, 2015, che fra l'altro ripubblicano Riderella; Piero Mioli, L'opera italiana del Novecento, Merone, 2018, pp. 414-457, che inserisce l'autore di Antigone nel suo contesto e per esempio fra Bettinelli e Mannino. Un'accuratissima discografia ha compilato Giuseppe Rossi nei citati
Carlo Mazzoli
Liviabella, dal 1963 al 1964
in Jadranka Bentini e Piero Mioli (a cura di)
Maestri di Musica al Martini. I musicisti del Novecento che hanno fatto la storia di Bologna e del suo Conservatorio
Bologna, Conservatorio «Giovan Battista Martini», 2021