Franco Alfano.
Nacque a Posillipo (Napoli) l'8 marzo 1876. Fu allievo per la composizione dei maestri De Nardis e Serrao al Conservatorio di Napoli e più tardi dello Jadassohn in quello di Lipsia. Stabilitosi a Berlino, attese alla composizione di musiche pianistiche dapprima, e poi di un'opera Miranda (dal Fogazzaro). A Lipsia compose un altro lavoro teatrale in due atti, La Fonte di Euschir su libretto di Illica, che andò in scena con successo allo Stadttheater di Breslavia nel 1898.
Trasferitosi a Parigi, musicò un balletto di soggetto partenopeo: Napoli, che alle Folies-Bergères nel 1901 fu ripetuto per centosessanta sere.
Nello stesso teatro fu pure rappresentato un altro suo balletto, Lorenza. Ma il primo lavoro teatrale veramente importante dell'Alfano fu l'opera in quattro atti Resurrezione, dal celebre romanzo di Tolstoi, che a Torino nel 1904 riportò un caldo successo, procurando all'autore nuove commissioni di opere dalla Casa Ricordi. Vennero così alla luce Il Principe Zilah (Genova, 1909); L'Ombra di Don Giovanni (Milano, 1914); La Leggenda di Sakuntala, su libretto proprio (Bologna, 1921); Madonna Imperia, un atto comico (Torino, 1927); L'Ultimo Lord (Napoli, 1930). Sugli appunti lasciati da Giacomo Puccini, l'Alfano compose l'ultimo duetto e il finale della Turandot, che, come è noto, fu lasciata incompleta dal compianto maestro lucchese.
Come parentesi a questa attiva produzione operistica, Franco Alfano ha dato alla musica da camera due Quartetti, un Trio in la, due Sonate, una per Violino e Pianoforte, l'altra per Violoncello e Pianoforte, molte Liriche vocali fra cui Tre Poemi da Tagore, Sei Liriche, Tre Canti da Tagore; alla musica orchestrale da concerto una Sinfonia in mi e la Suite Eliana.
La fisionomia artistica di Franco Alfano è complessa, e risultante da due atteggiamenti insieme commisti, che si potrebbero credere eterogenei uno all'altro, ma che sono invece figli dello stesso fondamento psicologico. Tali sono nella musica del maestro napoletano la spontaneità melodica e la densa complessità della struttura armonico polifonica.
Si direbbe talvolta che il pensiero musicale sia in lui oppresso dalla macchinosità della fattura. In realtà Alfano è un temperamento di operista esuberante, e tale qualità innata egli reca in ogni sua manifestazione artistica. Così se la sua natura melodica lo conduce a cantare con impetuosa libertà, l'altra sua natura, quella dell'artista nudrito di forti studi e propenso a valersi di tutte le possibilità della tecnica, lo porta ad un'architettura fastosa e, in definitiva, anch'essa esuberante. È doveroso aggiungere che nei più recenti anni, l'Alfano si è sentito attratto verso ideali di maggiore semplicità e purezza espressive, e lo ha dimostrato nelle due più recenti opere: Madonna Imperia e L'Ultimo Lord.
Franco Alfano ha dedicato sempre buona parte della sua attività al nobile ufficio dell'insegnamento, seguendo in questo una antica tradizione italiana, per la quale artisti già maturi non disdegnavano di porger la mano ai giovani.
Così egli per diversi anni fu direttore e professore di composizione al Liceo Musicale «Rossini» di Bologna, e, dal 1923, adempie le stesse mansioni al Liceo Musicale di Torino.
SINFONIA IN MI MINORE. Prima esecuzione: San Remo, aprile 1912. Direttore: E. Panizza.
Sebbene appartenga alla produzione giovanile dell’autore è un lavoro assai notevole per la saldezza della costruzione, per l’ardita polifonia strumentale e per l’impeto della invenzione melodica.
È diviso in tre tempi, anzichè nei quattro della consuetudine sinfonica. Il primo tempo (un Allegro ben ritmato) rende omaggio alla struttura tradizionale, con i suoi due temi ben distinti nel ritmo e nel carattere, con le parti di sviluppo e le riprese ben delineate.
La natura melodica e lo slancio delle figure, come pure la logica dello svolgimento tematico rivelano nel giovane autore un orientamento straussiano, pienamente spiegabile nel tempo in cui la composizione fu scritta. Nel secondo tempo (Largo sostenuto) è già più evidente la tendenza personale dell'Alfano a far nascere dal primo nucleo ampie conseguenze melodiche, anzichè frastagliarne il contenuto a mosaico tematico. Una profonda malinconia forma il carattere unitario di questo Adagio. Il finale, dopo aver rievocato le figure principali del primo tempo, si basa su un tema a note ribattute, la cui fantastica snellezza forma buon effetto di contrasto col contenuto dei due tempi precedenti, e atteggia di se l'intero pezzo. Il secondo tema, arioso e cantabile, si unisce al primo nel conferire un carattere di giovanile giocondità, a questo finale.
ELIANA (su motivi popolari italiani). Prima esecuzione: Roma, gennaio 1922. Direttore: V. De Sabata.
È nata come Suite romantica in quattro tempi, ma R. Pantini vi ha adattato una azione mimica col titolo di Eliana, e l'autore vi ha aggiunto - per lo scopo della rappresentazione - cori e danze ad libitum. In sostanza essa è e resta una composizione da concerto.
Il primo pezzo, Notte adriatica, si fonda su un largo canto nostalgico, a cui solo a metà si aggiungono elementi pittoreschi e descrittivi. Echi dell'Appennino fanno udire un ritmo di danza rusticana che, dapprima lontano, irrompe poi festosamente cadenzato. Un pastorale motivo di zampogna sembra interrompere la festa montanina con senso di semplicità religiosa.
Il terzo episodio, Al Chiostro abbandonato, lascia pensare, con i suoi rintocchi di campana, con la melanconia dolce e profonda delle sue frasi melodiche, a un eremo deserto in luogo aspro e montano. Un soffio di umanità caldo e passionale penetra poi nel luogo santo.
Natale Campàno è il soggetto dell'ultimo tempo. Agili ritmi quasi di scherzo sinfonico, spunti melodici espressivi, ritorni tematici del primo episodio si alternano, si intrecciano, fino a che la decisa ripresa del carattere festoso iniziale chiude il pezzo con tumultuosa luminosità orgiastica. DANZA E FINALE DI SAKUNTALA. Prima esecuzione: Roma, gennaio 1922. Direttore: V. De Sabata.
Di due episodi assai importanti del terzo atto di Sakuntala l'autore stesso ha fatto - con opportuno collegamento — un pezzo sinfonico, che illustra due stati d'animo del Re Duschianta l'immemore amante di Sakuntala. Durante la Danza dell'Ape (prima scena del terzo atto) mentre voluttuosi e perversi fantasmi sonori si inseguono nel mobile gorgo dell'orchestra, il giovane monarca indiano è tormentato da visioni, da incubi inesplicabili per lui, ma che sono la conseguenza di una terribile maledizione scagliatagli dal santone Durwasas.
L'angoscia, che lo stringe, gli rende insopportabile lo spettacolo orgiastico che la sua Corte gli offre, sì che con un gesto energico egli lo fa cessare di colpo. Segue un silenzio grave. Il Re ha sentito nell'intimo del suo spirito il richiamo della sposa, ingiustamente ripudiata, e vorrebbe esserle vicino, ma Sakuntala è già fuori del mondo. Nello stesso tempo una luce potente illumina sempre meglio il suo animo... Ed ecco che tra veli d'oro, recato sulle braccia da un santo eremita, gli apparisce un infante. È il figliuol suo e di Sakuntala, l'erede annunciatogli dalla predizione divina.
Il Re comprende a pieno, si desta dal suo immemore stupore e, insieme con la moltitudine del popolo, che ha accompagnato il monaco, si genuflette dinanzi al Fanciullo Eletto, tra squilli trionfali di trombe.

Giulio Cesare Paribeni
Sinfonisti italiani d'oggi. Guida per i radio-amatori dei concerti
Musica sinfonica, da camera e varia n. 6-8
Milano, ERTA - Edizioni Radio Teatrali Artistiche, 1932

Dalla terra del sole e dei canti
Franco Alfano nacque l’8 marzo 1875 a Posillipo da un incisore napoletano, Vincenzo, e da madre francese, Francesca “Fanny” Fourcade (il cognome fu poi italianizzato in Forcati). Dotato di un precocissimo talento musicale (pare che a tre anni già cantasse arie di Bellini), nel 1886 il piccolo Franco venne presentato da Raffaele Morfella ad Alessandro Longo con il quale studiò pianoforte per due anni. Frequentò con scarso successo un istituto fisico-matematico che abbandonò presto per prepararsi all’ammissione al Conservatorio (verosimilmente anche per una bocciatura considerata ingiusta). Secondo quanto testimoniato da Andrea Della Corte, suo primo biografo, il 1° dicembre 1891 fu ammesso come allievo esterno al Conservatorio “S. Pietro a Majella” di Napoli dove studiò con Camillo De Nardis (armonia), Paolo Serrao (contrappunto), Giuseppe Cotrufo (pianoforte, il suo strumento prediletto). In quel periodo si avvicinò, innamorandosene, alla musica di Grieg e dei russi Borodin, Cui, Balakirev e Ljadov formando un trio con due suoi compagni, Luis Lopez e Gaetano Trojani. Intanto studiava privatamente orchestrazione con Oronzo Scarano, e con poca soddisfazione. Nell’autunno del 1895 abbandonò l’istituto napoletano destinazione Germania, patria del sinfonismo: “Passai a Vienna, mi fermai a Varsavia, poi per Berlino giunsi a Lipsia”, avrebbe detto. Nell’ottobre di quell’anno fu ammesso al Conservatorio di Lipsia dove studiò composizione sotto la guida dell’anziano Salomon Jadassohn e violino con Hans Sitt. Vi si fermò fino al luglio dell’anno successivo quando si spostò a Berlino.
A questo periodo risalgono le prime composizioni, ossia le Cinq mélodies per canto e pianoforte su testi francesi di Musset, Lamartine e Hugo entusiasticamente dedicate a Massenet e pubblicate dall’editore lipsiense Hug. Il futuro compositore si diplomò nel febbraio 1896: durante il saggio-esame pubblico finale eseguì i propri Drei Präludien und Fugen für Pianoforte. Nel 1898 visitò la Polonia e la Russia dove si esibì al pianoforte; a Mosca e a S. Pietroburgo frequentò concerti e rappresentazioni teatrali. Nell’estate del 1899 si trasferì a Parigi dove per sbarcare il lunario compose balletti pantomimici in stile napoletano per le Folies Bergère: Napoli fu rappresentato in prima assoluta il 26 gennaio 1901 ed ebbe addirittura centosessanta repliche, Lorenza il 4 novembre. Nella capitale francese Franco conobbe Marta, la futura moglie, che avrebbe sposato solo nel 1927.
Il successo riscosso dall’opera Risurrezione, composta in soli cinque mesi tra Parigi, Berlino, Mosca e Posillipo e andata in scena in prima assoluta il 30 novembre 1904 al Teatro “Vittorio Emanuele” di Torino, guadagnò al suo autore una certa notorietà e fece sì che il suo nome si diffondesse in ambito sia artistico sia accademico. Rientrato in Italia, dopo il 1910 fu chiamato a far parte della prima Commissione d’esame per l’assegnazione di cattedre di Composizione (uno dei commissari era Pizzetti) e a partecipare, in veste di commissario esterno, agli esami del Conservatorio di Milano. Gli fu anche offerta l’assunzione senza concorso della direzione del Liceo musicale di Bologna, ma rifiutò. Entrò comunque a far parte dell’organico dell’istituto bolognese nel 1916 in qualità di insegnante di Composizione dietro sollecito dell’allora direttore Gino Marinuzzi (talvolta sostituendolo ad interim), incarico che mantenne fino al 1923, unendovi, nel gennaio 1918, quello di direttore.
Dal punto di vista didattico ebbe la capacità di unire un approccio innovativo maturato negli anni all’estero a una tecnica solida e rigorosa. Dalla sua scuola uscirono Antonio Veretti, Adone Zecchi, Sandro Fuga, Fernando Previtali, Pietro Righini ed Enzo Masetti. Nel 1920, allo scopo di diffondere la musica da camera dei compositori contemporanei, fondò la società Musica Nuova: il primo concerto fu tenuto da Remy Principe (violino) e Giorgio Levi (pianoforte), che eseguirono una sonata di Francesco de Guarnieri, una sonata di Esposito e un Notturno di Ferdinando Liuzzi.
Nel 1923, a testimonianza della fama acquisita in ambito didattico lo raggiunse la proposta del Municipio di Torino di assumere la direzione del Liceo musicale “G. Verdi” dietro un compenso annuo di 34.000 lire e l’obbligo di tenere la cattedra di alta composizione. Sostenne tale mansione fino al 1940, quando la lasciò per limiti di età (gli succedette Ludovico Rocca). Nello stesso anno ottenne la nomina a sovrintendente del Teatro Massimo di Palermo, ma dopo soli due anni si dimise perché relegato dal regime fascista all’arido ruolo di funzionario: “Non è proprio 'mestiere' di un artista fare il Sovrintendente d’un teatro qualsiasi quando non si è liberi di dare agli spettacoli un indirizzo proprio”, confidò in seguito all’amico Amedeo Giannini.
I rapporti con il Fascismo erano iniziati nel 1925 quando, con Ildebrando Pizzetti, Bruno Barilli, Gino Marinuzzi e il critico musicale Saverio Procida, partecipò al Convegno per la cultura fascista che si svolse a Bologna il 29-30 marzo e si concluse con la stesura del Manifesto degli intellettuali del fascismo. Il 23 ottobre dell’anno successivo, insieme a Renzo Bossi, Adriano Lualdi (futuro deputato del Regno d’Italia), Pizzetti e Alceo Toni, incontrò a Roma Mussolini allo scopo di proporgli una mostra sul '900 italiano. L’idea piacque e il capo del Governo concesse loro un finanziamento di 80.000 lire, ma la manifestazione, che si svolse a Bologna nel 1927, risultò fallimentare. I frequenti scambi epistolari intercorsi tra Alfano e il Duce testimoniano una certa benevolenza da parte di quest’ultimo, tanto da ospitare nella propria residenza romana in via Rasella l’esecuzione in anteprima (26 marzo 1927) del Quartetto in Do magg. da parte del Quartetto napoletano (De Rogatis Procida, Finizio, Scarano, Viterbini) davanti ai più eminenti critici romani. Secondo il resoconto di Della Corte “Mussolini lodò con simpatia il lavoro, si interessò alla forma del quartetto, che notò analoga a quella del sonetto, e concluse: - A me piace”. Si incontrarono nuovamente il 18 gennaio 1940, quando il compositore omaggiò Mussolini dello spartito di Sakùntala.
Tra le onorificenze ricevute spicca l’elezione ad Accademico di S. Cecilia, nel gennaio del 1930. In seguito: nel 1939 Alfano risulta membro della Corporazione delle professioni e delle arti in rappresentanza dei musicisti, membro del Direttorio nazionale fascista dei musicisti, membro del Consiglio superiore delle Belle arti e segretario interprovinciale dei musicisti del Piemonte; dal ’43 fu titolare della cattedra di Studi sul teatro lirico al Conservatorio di S. Cecilia; nel 1947 venne nominato direttore del Liceo musicale di Pesaro (lasciò l’incarico nel 1950 e gli succedette Antonio Veretti, suo ex allievo) e accademico dell’Accademia Filarmonica Romana; l’anno successivo l’Académie de France (Sezione delle Arti) lo nominò membre de l’Institut. Non ebbe invece la nomina all’Accademia d’Italia, né nel 1929 quando gli fu preferito Giordano né dieci anni più tardi quando fu scelto Cilea. Cessò di vivere il 27 ottobre 1954 nell’amata San Remo, località nella quale durante tutta la vita si era rifugiato in ricerca di tranquillità e ispirazione.
Vibrazioni d'artista
In ambito teatrale la parabola artistica di Franco Alfano ebbe inizio durante gli studi a Lipsia con Miranda, un dramma composto nel 1896 su libretto di un anonimo “buon amico napoletano” che con tutta probabilità era lui stesso: basata sull’omonimo poemetto in versi di Fogazzaro, l'opera rimase inedite e non fu rappresentata (del libretto sopravvive anche una traduzione in tedesco opera di Ludwig Hartmann di Dresda). Sorte più felice ebbe La fonte di Enschir, opera in due atti e un intermezzo dal carattere fantastico-arabeggiante su libretto di Luigi Illica rappresentata a Breslavia (oggi Wroclaw) il 18 novembre del 1898 con “successo incontestato” e pure rimasta senza editore. Il lavoro-rivelazione di Alfano fu la già citata Risurrezione, dramma verista in prosa in quattro atti su libretto di Cesare Hanau da Voskresenie di Lev Tolstòj la cui prima al “Vittorio Emanuele” di Torino si avvalse della bacchetta di Tullio Serafin. Per la ripresa alla Scala del marzo 1906 il compositore approntò una seconda versione con tagli dettati da necessità sceniche; e la versione verrà nuovamente rimaneggiata per la messa in scena alla Komische Oper di Berlino del 1909. Una struggente storia d’amore si interseca con l’aspra denuncia delle condizioni inumane nelle carceri, dell’ingiustizia dei tribunali e dello scontro tra le classi sociali, il tutto impregnato di un pietoso e struggente sentimento di cristianità universale.
Il principe Zilah (libretto di Luigi Illica da Jules Claretie), rappresentata al “Carlo Felice” di Genova il 3 febbraio 1909 (direttore Ettore Panizza), e L’ombra di don Giovanni, tratta dal Demone di Ettore Moschino, data alla Scala il 2 aprile 1914 con la direzione di Serafin, riscossero poca fortuna tra critica e pubblico. Molto più tardi Alfano riprese e modificò radicalmente sia la strumentazione sia l’azione del Don Giovanni, modificando il titolo in Don Juan de Manara, ma il risultato fu tutt’altro che apprezzabile: l'opera fu rappresentata al Comunale di Firenze il 28 maggio 1941 con Beniamino Gigli, Iva Pacetti, Fedora Barbieri, Gino Bechi, Adelio Zagonara e Antonio Cassinelli.
Composta dall’agosto 1914 in poi tra San Remo e Bologna, La leggenda di Sakùntala segnò la piena maturazione di Alfano. Il testo è del compositore stesso che, su suggerimento dell’amico Giovanni Pozza, il critico del «Corriere della sera» cui l’opera è dedicata, trasse spunto da uno dei più famosi poemi in sanscrito di Kālidāsa, poeta indiano vissuto tra il IV e il V secolo d. C. L’opera in tre atti dalla raffinatissima orchestrazione andò in scena al Comunale di Bologna il 10 dicembre 1921 (direttore Tullio Serafin) ottenendo entusiastiche recensioni (alla prima ci furono ben venticinque chiamate e tre applausi a scena aperta) ed ebbe presto repliche a Napoli, Milano, in Belgio, in Germania, a Buenos Aires e Rio de Janeiro. I bombardamenti dell’agosto 1943 sulla città di Milano causarono gravi danni agli uffici e ai magazzini di Casa Ricordi e tra i materiali andati perduti si contarono la partitura autografa e le parti d’orchestra della Leggenda. Dopo la guerra Alfano si trovò dunque a dover ricostruire la partitura, orchestrandola sulla base dalla riduzione per canto e pianoforte stampata nel 1921 in prossimità della prima. La seconda versione, rappresentata con il nuovo titolo Sakùntala all’Opera di Roma il 9 gennaio 1952, differiva da quella originaria per alcuni ritocchi nel profilo melodico, oltre che per alcune modifiche apportate all’agogica, alla dinamica e ai colori orchestrali con piccole limature nella strumentazione.
Il primo dei Contes drôlatiques di Honoré de Balzac, La belle Impéria, fornì il materiale letterario per la commedia lirica Madonna Imperia, un solo atto a scena unica ambientato a Costanza durante gli anni del Concilio (1414-1418): Alfano iniziò a lavorarvi nel 1926 e l'opera breve fu rappresentata a Torino il 5 maggio 1927 con la concertazione di Vittorio Gui (il libretto si deve al giornalista e commediografo veneto Arturo Rossato) insieme alla Cambiale di matrimonio di Rossini. I meriti del compositore, che fu definito come “un artista in perenne stato di vibrazione”, sono efficacemente illustrati da Roberto Zanetti:
«Madonna Imperia appare, insomma, lavoro piacevole, rapido, senza sfilacciature e senza compiacimenti retorici, bensì puntuale nelle sottolineature espressive, aperto anche a svariate situazioni divertenti, pur sembrando eccessivo il dirlo “divertentissimo” come ebbe a fare più volte il suo autore. La sua piacevolezza, il suo saper far sorridere, ma soprattutto la sua capacità di coinvolgimento dello spettatore nel seguire lo sviluppo e l’esito della fine schermaglia d’amore tra Imperia e Filippo, sono meriti comunque da ascrivere interamente al compositore».
Madonna Imperia uscì presto dai confini nazionali: l’8 febbraio 1928 fu data al Metropolitan di New York, il 23 all’Opera di Vienna. Nel giugno del 1927 Franco Alfano scrisse al commediografo Ugo Falena chiedendogli di poter dar forma di libretto al suo Ultimo Lord: ne nacque una commedia brillante in tre atti la cui prima avvenne al S. Carlo di Napoli il 19 aprile 1930 con la direzione di Franco Capuana e Mafalda Favero nei panni di Freddie. La parentesi operistica dal registro più leggero si chiuse con Cyrano de Bergerac, commedia eroica ridotta in quattro atti e cinque quadri da Henri Cain dalla commedia di Edmond Rostand e pubblicata per i tipi di Ricordi, andata per la prima volta in scena nella versione italiana al Teatro Reale di Roma il 22 gennaio 1936 (direttore Tullio Serafin) e nella versione francese all’Opéra Comique di Parigi il 29 maggio successivo (direttore Albert Wolff). La produzione operistica più significativa di Alfano si arrestò con Il dottor Antonio, opera lirica in tre atti e cinque quadri su libretto di Mario Ghisalberti tratto dall’omonimo romanzo di Giovanni Ruffini. Rapida, ma limitata nel tempo la sua diffusione: rappresentata all’Opera di Roma il 30 aprile 1949, fu ripresa al S. Carlo di Napoli il 21, 23 e 26 marzo 1950 e per l’ultima volta durante la stagione 1953/54 della RAI (fu trasmessa la sera dell’8 novembre 1953). Musicando questa infelice storia d’amore, Alfano, conclusa la fase modernista di Sakùntala, tornò a dar voce alla sua verista magistralmente espressa in Risurrezione che ai suoi contemporanei cominciava, però, a suonare piuttosto rétro.
Un commento a sé, seppur costringa a fare un passo indietro nella cronologia della produzione di Alfano, merita il lavoro per il quale è ricordato dai più, la conclusione di Turandot. Alle 11.30 di sabato 29 novembre 1924 all’Institute de la Couronne di Bruxelles moriva Giacomo Puccini, lasciando incompiuta l’opera alla quale aveva lavorato finché l’inarrestabile declino fisico glielo permise: del duetto d’amore tra Turandot e il Principe Ignoto e del grandioso finale non lasciò che alcuni schizzi. Nel luglio 1925 Carlo Clausetti e Renzo Valcarenghi, gerenti di Casa Ricordi, d’accordo con Antonio Puccini, figlio di Giacomo, e incoraggiati da Arturo Toscanini (impressionato dal successo bolognese della Leggenda di Sakùntala) affidarono ad Alfano il delicato compito di portare a termine l’opera. Non furono certo un dettaglio trascurabile nella scelta l’amicizia e la reciproca stima che da anni si erano instaurate tra i due compositori. Alfano terminò la prima versione del completamento il 28 gennaio 1926, ma la stesura trovò la più ferma opposizione di Toscanini che, giudicandola troppo lontana dagli intendimenti di Puccini e troppo aderente allo stile alfaniano, impose al compositore pesanti tagli. La sera del 25 aprile 1926 Turandot debuttò alla Scala ma il finale non venne eseguito: Toscanini fermò l’opera due battute dopo il verso “Dormi, oblia, Liù, poesia!”, ossia dopo l’ultima pagina di mano dell’autore, si rivolse al pubblico e disse: “Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto”. Un silenzio sepolcrale invase la sala e l’animo dei presenti. Il finale scritto da Alfano fu udito la sera successiva.
Nel catalogo alfaniano un posto di rilievo è occupato dalle liriche per voce e pianoforte, composte lungo tutto l'arco della vita (Letzter Gedanke fu pubblicato postumo nel 1964). Il maestro si lasciò ispirare da poeti celebri come Lamartine, De Musset, Rilke, Hugo, Tagore e da altri meno noti come Cesare Meano, Luigi Orsini, Giuseppe Lipparini, Francesco Pastonchi, Miranda Bona. Le liriche, che si distinguono per una scrittura originale, armonicamente complessa e timbricamente ricercata e per una condotta pianistica concertata, vennero pubblicate in diverse raccolte da Ricordi: Tre poemi di Tagore, 1919; Sei liriche, 1925; Vocalizzi nello stile moderno, 1933; Nuove liriche tagoriane, 1936; Tre nuovi poemi, 1943; Cinque nuove liriche tagoriane, 1948; e anche da Suvini Zerboni (Tre liriche, 1946; Due canti napoletani), Curci (Sette liriche, 1947), Universal (Tre liriche di Tagore, 1929). È evidente che nel corpus della produzione lirica del compositore di Posillipo il poeta indiano abbia avuto un’incidenza primaria. Per dirla con Rino Maione “Tagore e Alfano si fanno l’uno 'materia' dell’altro: la poesia di Tagore si fa musica di Alfano e la musica di Alfano si fa poesia di Tagore. Il versante poetico e quello musicale sembrano appartenere alla stessa anima”.
Tra le numerose pagine di musica che ha lasciato l’Alfano sinfonista vanno segnalate almeno le seguenti. La Suite romantica, composta tra il 1906 e il 1908, pubblicata da Tito Ricordi, cui è dedicata, nel 1910 ed eseguita all’Anfiteatro Corea di Roma il 18 febbraio 1909 (direttore Egisto Tango), è quasi un poema sinfonico che ripercorre “le sensazioni di due amanti in viaggio attraverso l’Italia: a Venezia, in Abruzzo, in un abbandonato chiostro montano, infine a Napoli nei giorni del Natale”. La pressoché coeva Sinfonia in Mi magg. nacque nell’aprile 1912 al Casinò municipale di San Remo, poi fu ripresa da Antonio Guarnieri all’Augusteo di Roma il 28 novembre 1915, infine fu ritoccata e accorciata dall’autore e pubblicata sotto il nome di Sinfonia classica nel 1953: la partitura testimonia efficacemente la potenza creativa e la perizia tecnica del compositore, ben definendo i principi estetici che distingueranno le sue opere successive. La seconda Sinfonia in Do magg. fu composta nel 1931-32, con dedica al musicista e musicologo francese Maurice Emmanuel, ed eseguita sotto la direzione di Bernardino Molinari all’augusteo il 5 aprile 1933 nel contesto della II Mostra nazionale del Sindacato fascista dei musicisti. Il singolare Divertimento per orchestra ridotta e pianoforte obbligato, infine, si articola in tre tempi e nacque all'EIAR di Torino il 7 febbraio 1936. Scrive Luigi Perracchio:
«È nella Suite romantica e nella Sinfonia in Mi che il processo di rinnovamento s’è fatto più profondo. Quei lavori sono come un riposo ai lavori di teatro. Ma insieme una preparazione ed un raccoglimento. Un chiudersi in una vita più interiore. Un bisogno di penetrare più profondo stato di coscienza. E dunque lavori liberi: di musica pura. Senza schiavitù di scene e falsariga di situazioni. Le forme non sono di impaccio al musicista che è musicista. In questo raccoglimento il musicista s’è trovato davanti a sé ed alla natura».
La produzione strumentale da camera contempla tre quartetti (uno dei quali gravato dalla dicitura “a S. E. Benito Mussolini”), un quintetto in La bem. magg. per pianoforte e archi dedicato al suo “caro amico ed ex allievo Marco Martini (Suvini Zerboni, 1947) e pezzi per strumento solista. Nel dettaglio, questi: una sonata per violino in Re magg. (Ricordi, 1936) e una per violoncello in Sol magg. (Universal, 1926) scritta per il violoncellista Arturo Bonucci e dedicata alla gentile signora Elisabeth Coolidge, l’arietta Giorno per giorno (Carisch, 1941), Neapolis (Leduc, 1944) per violoncello e pianoforte. Infine la fisarmonica e il pianoforte solo: alla prima è destinata la Nenia pubblicata dalle Edizioni musicali Farfisa (oggi Bèrben) nel 1951, al secondo diverse sillogi date alle stampe a partire dal 1897 da Hug, Hachette, Deiss, Sonzogno e Ricordi come Quatre pièces (ad Alessandro Longo), Quatre danses roumaines, 4 Danses napolitaines, Deux pièces, Cinq danses de Cléo de Mérode (dal balletto Lorenza), Nostalgìe (sui temi popolari partenopei Fronne ’e limone e Fenesta ca lucive), Pax per organo o pianoforte.
Per finire: I cavalieri e la bella (1910) è un'opera in tre atti di Giuseppe Adami e Tomaso Monicelli rimasta incompiuta; Eliana (1923), azione coreografica adattata dalla Suite romantica, fu rappresentata prima ad Anversa (1929) poi all’Opera di Roma (1943); il balletto Vesuvio nacque a San Remo (Casinò Municipale, 1933) e l’opera radiofonica Vesuvius a Roma (RAI, 1950); l’Inno a Simón Bolívar fu diretto a Caracas nel dicembre 1930 dall’autore stesso.
Benvisto da riviste
Fiumi d’inchiostro sono stati versati per descrivere e commentare l’opera di Franco Alfano. Innanzitutto le numerose e puntuali recensioni delle sue opere, le testimonianze e i profili apparsi tra il 1898 e il 1953 su periodici come «Il mondo artistico», «Rivista teatrale melodrammatica», «La Tribuna», «I teatri», «Allgemeine Musikzeitung», «La critica musicale», «Emporium», «Il pianoforte», «Rivista musicale italiana», «Il pensiero musicale», «Il popolo d’Italia», «L’arte fascista», «La revue musicale», «Musica d’oggi», «La rassegna musicale». Il maggiore contributo biografico è il libro-intervista di Andrea Della Corte: il Ritratto di Franco Alfano (Paravia, 1935) risale al periodo in cui Della Corte insegnava Storia della musica al Conservatorio di Torino del quale Alfano era direttore. Nell’impossibilità di citare tutti gli studi biografici e i cataloghi oggi disponibili si dà notizia solo dei contributi essenziali e più recenti ai quali si rimanda per bibliografie specifiche e dettagliate. Il corposo volume Ultimi splendori. Cilea, Giordano, A., curato da Johannes Streicher e pubblicato nel 1998, contiene una serie di saggi che gettano luce sulla cronologia della vita e delle esecuzioni di Alfano (J. Streicher), sulle sue opere teatrali (Giorgio Gualerzi, John C. G. Waterhouse, Maria Teresa Muttoni, Guido Barbieri), sulle composizioni sinfoniche (Antonio Rostagno), sue quelle per canto e pianoforte sue testi di Tagore (Guido Sanguinetti), oltre a offrire la trascrizione e il commento dei suoi Appunti di Instrumentazione (Aurora Cogliandro) e la trascrizione dei carteggi intrattenuti con Raffaello De Rensis, Arturo Rossato, l’editore Suvini Zerboni e dei documenti conservati a San Remo (J. Streicher, A. Cogliandro); chiudono la parte dedicata all’autore napoletano un’indagine sulla critica tra Italia e Germania, il catalogo delle opere e una vasta bibliografia.
Altra miscellanea fondamentale è Franco Alfano Presagio di tempi nuovi con finale controcorrente curata da Rino Maione (Rugginenti, 1999), i cui capitoli spaziano tra i vari generi affrontati da Alfano e ne analizzano le opere principali. Da menzionare l’accurata appendice relativa alle fonoincisioni RAI e alla discografia: dopo più di cinquant’anni dalla morte di Alfano alcuni “onesti... spassionati [e] sagaci studiosi” si sono presa la non facile iniziativa di costruire per la prima volta e senza tracce di adulazione o di polemica una silloge critica, e sono Bruno Gallotta, Luciano Gherardi, Marco Munari, Ettore Napoli, Cesare Orselli, Attilio Piovano, Eduardo Rescigno, Guido Salvetti, Piero Santi, Aurora Cogliandro, Roberto Zanetti. Molto interessante la riflessione di Claudio Toscani dal titolo La leggenda di Sakùntala di Franco Alfano: un esotismo fuori stagione? pubblicata in Tendenze della musica teatrale italiana all’inizio del Novecento (Sonzogno, 2005), gli atti del IV convegno internazionale Ruggero Leoncavallo nel suo tempo che si è svolto a Locarno nel maggio 1998. Per quanto riguarda il rapporto con il regime sono fondamentali le pagine dedicate ad Alfano in Musica e musicisti nel ventennio fascista di Fiamma Nicolodi (Discanto, 1984; rist. con postfazione Libreriauniversitaria.it, 2018), che trascrivono diverse lettere inviate a Mussolini e al suo entourage. Infine Il melodramma italiano 1901-1925. Dizionario bio-bibliografico dei compositori (Olschki, 2014, I, pp. 16-20): nella voce relativa, oltre a una breve sinossi di tutte le opere teatrali, Andrea Sessa offre la bibliografia più completa e aggiornata sul compositore. Oltre ai riferimenti e agli entusiasmi di Paolo Isotta (Altri canti di Marte, Marsilio, 2015, passim), cfr. qualche altra fortuna bibliografica del teatro di Alfano: Fabrizio Dorsi e Giuseppe Rausa, Storia dell'opera italiana, Bruno Mondadori, 2000, pp. 555-557 e 591-593; Piero Mioli, L'opera italiana del Novecento, Manzoni, 2018, pp. 136-147.
Altrettanto arduo se non impossibile condensare in poche righe la discografia dedicata ad Alfano: non si possono tuttavia tacere la memorabile Risurrezione diretta da Elio Boncompagni con i complessi di Torino della RAI, Magda Olivero nel ruolo di Katiuscia e Giuseppe Gismondo in quello di Dimitri (Anna, 1971); il Cyrano de Bergerac diretto da Maurizio Arena con gli stessi complessi (MRF, 1975); la Sakùntala diretta da Ottavio Ziino con i complessi di Roma della RAI (Triphon, 1979); la Sinfonia in Do magg. eseguita dall’Orchestra Sinfonica di Torino della RAI e diretta da Fernando Previtali nella lontana primavera del 1942 (Cetra, 78 giri).

Ivano Bettin
Alfano, classico ed eclettico
in Jadranka Bentini e Piero Mioli (a cura di)
Maestri di Musica al Martini. I musicisti del Novecento che hanno fatto la storia di Bologna e del suo Conservatorio
Bologna, Conservatorio «Giovan Battista Martini», 2021